Nella forma di una riunione

domenica 30 Giugno 2013

[copio qua sotto un’intervista di Piero Sorrentino che dovrebbe essere uscita ieri sulle pagine napoletane del Corriere della sera]

Che cosa racconterà, o leggerà, al pubblico di “Un’Altra Galassia?”

Proverò a raccontare La banda del formaggio, che è un romanzo che è appena uscito per Marcos y Marcos e è il resoconto che un editore emiliano, che si chiama Ermanno Baistrocchi, fa dell’indagine che conduce sulla scomparsa del suo socio, che si chiama Paride Spaggiari, e comincia così: «Ma quelli che scrivono sopra ai giornali, non gli capita mai che gli viene il dubbio che quello che scrivono son delle cagate?».

Che rapporto ha coi festival letterari, e più in generale qual è la sua idea intorno ai “pubblici discorsi” (per citare il titolo di un suo libro)? Almeno un paio di volumi raccolgono i suoi discorsi in occasione di pubbliche letture o spettacoli con accompagnamenti musicali che lasciano presupporre una sua felice frequentazione di questo tipo di incontri con i lettori…

I festival, in generale, mi piacciono molto, in particolare mi piacciono i festival belli e mi piacciono moltissimo quelli bellissimi.

Sempre intorno al tema degli interventi pubblici degli scrittori, qualche tempo fa è stato al centro di una polemica, innescata da un articolo del critico Andrea Cortellessa, in cui, in sostanza, veniva stigmatizzata la sua collaborazione alle pagine culturali del quotidiano “Libero”. Che ne è stato di quel dibattito? Le è sembrato utile?

Francesco Borgonovo, che all’epoca era il direttore delle pagine culturali di Libero, mi aveva cercato perché aveva letto un mio articolo sul manifesto, e mi aveva detto che, anche se sapeva che io, politicamente, non la pensavo come Libero, sarebbe stato contento di leggere degli articoli come quello sul manifesto sulle pagine culturali di Libero, e che se avessi voluto provare a lavorare con loro, avrei verificato che avrei potuto scrivere quel che volevo. Son passati credo tre anni e collaboro ancora con Libero perché Francesco ha mantenuto la sua parola: ho potuto scrivere, in questi tre anni, tutto quel che ho voluto, senza nessuna censura. Va detto forse anche che quando hanno saputo che io scrivevo su Libero, al manifesto hanno fatto una riunione per decidere se potevo ancora collaborare con loro, e mi hanno detto che mi avrebbero fatto sapere. Non ho poi saputo più niente, e quindi, forse, il dibattito continua in quella forma lì, nella forma di una riunione per decidere se io posso scrivere ancora sul manifesto, che mi sembra senz’altro una cosa utile.

Sempre restando intorno al nodo della comunicazione pubblica dei narratori, secondo lei si possono usare i mezzi di comunicazione di massa – penso soprattutto alla televisione – per dire qualcosa di sensato, utile, nutriente? O si rischia di essere invasi e usati dalla spettacolarità vuota e degradata del mezzo, venendone risucchiati e neutralizzati?

Le poche volte che mi è capitato di andare in televisione mi sono sforzato di evitare di fare lo scrittore che va in televisione. Non capivo bene perché finché non ho letto, recentemente,  questo frammento del russo Sergej Dovlatov «Il ruolo e la sfera d’azione dello scrittore, in Russia, – scrive Dovlatov, – sono sempre stati molto rispettati, perciò dire di sé “Io sono uno scrittore” è sempre stato considerato, in Russia, una cosa indecente, come dire di sé “Io sono bellissimo”». Ecco, io non capisco tanto, di televisione, ma ho l’impressione che se si va in televisione resistendo alla tentazione di dire, di sé, “Io sono bellissimo”, ci si possa andare.