Da Pietroburgo
Mi sono dimenticato a Casalecchio la borsa che ho comprato a Pietroburgo quest’estate. Stasera al salone del libro farò vedere queste due foto. C’è scritto Da Pietroburgo con apatia e indifferenza. Buongiorno.
Mi sono dimenticato a Casalecchio la borsa che ho comprato a Pietroburgo quest’estate. Stasera al salone del libro farò vedere queste due foto. C’è scritto Da Pietroburgo con apatia e indifferenza. Buongiorno.
In Russia non puoi bere l’acqua del rubinetto senza farla bollire, noi l’acqua e la frutta le compriamo in un paio di supermercati aperti 24 ore su 24 che sono molto forniti, quello in cui vado io di solito a Bologna non è così bello. Una sera la cassiera mi chiede in russo se pago con carta o in contanti, le rispondo in russo che non posso pagare con carta perché le mie carte non valgono, sono italiano. Lei mi guarda un attimo come se non se l’aspettasse, poi mi dice «Pravil’no», che significa «È giusto». Chissà cosa voleva dire.
[Martedì 9 agosto, alle 19, sul mio profilo Instagram, parlo del viaggio in Russia (foto di @claudiosforza)]
I nomi cambiano, l’amore resta. Da Pietroburgo: clic
Immagine di Natal’ja Gončarova (copertina di Igra v adu, poema di Chlebnikov e Kručenych)
E una volta, era il ‘93, era autunno, abitavo sulla prospettiva Grande dell’Isola Vasil’evskij, a Pietroburgo, per andare in biblioteca prendevo un filobus, tutte le mattine, il filobus numero 10, e una mattina, pioveva, son montato sul filobus che era pieno tranne che in un cerchio di un metro di diametro perché sul tetto del filobus, se così si può dire, in alto, c’era un buco; allora loro cosa avevano fatto, i russi?
Avevano fatto un buco anche per terra, e l’acqua scorreva, e il filobus andava, e io, mi ricordo, avevo pensato “Ecco, questa è la Russia”
Due cose: ieri, a San Pietroburgo, abbiamo guardato la partita Italia Spagna in albergo, noi italiani da una parte e un gruppo di spagnoli dall’altra. Quando ha segnato l’Italia, nel primo tempo, noi abbiamo guardato la televisione con un distacco, avevamo un’aria che sembrava che dicessimo Guarda, ha segnato l’Italia. Nel secondo tempo, gli spagnoli, ogni volta che la Spagna arrivava a trenta metri dalla porta italiana, c’eran gli spagnoli, sia gli uomini che le donne, che dicevano Dai dai dai dai dai dai, o qualcosa del genere in spagnolo, facevano una gran confusione e un signore genovese, a un certo punto, si è voltato verso di noi ha detto È un popolo latino, e l’ha detto con un tono scandinàvo che mi è sembrato bellissimo. Dopo volevo dire che i copechi esistono ancora, ho scoperto.
Io comunque sono un personaggio stupefacente, anche se non mi piace molto parlarne.
[Daniil Charms, Vešč’, Moskva, Amfora 2000, p. 343 (nella fotografia Pietroburgo, Ulica Majakovskaja d. 11, stamattina]
Oggi abbiamo comprato un quaderno che in copertina c’è una bottiglia, un ombrello e c’è scritto Da Pietroburgo con apatia e indifferenza. Poi due di noi sono entrati nel museo dell’Artico e dell’Antartico e non hanno capito tanto perché c’era scritto tutto in russo e loro il russo non lo sapevano ma era in un posto così bello, una chiesa sconsacrata, e aveva un nome così bello, Museo dell’Artico e dell’Antartico, che non hanno potuto non entrare. Poi una ha comprato un bicchiere di fragole da una vecchietta russa e ha pagato cinquanta rubli e ha visto che la vecchietta le diceva qualcosa e lei ha detto No, tieni pure il resto, non ringraziarmi, e la vecchietta ha detto ancora qualcosa e lei ha detto Ma no, tieni pure il resto, non ringraziarmi, non ringraziarmi, dopo la vecchietta diceva ancora qualcosa e lei ha detto Ma no, per me cosa vuoi che sia, non è neanche un euro, e la vecchietta ha detto ancora qualcosa allora lei ha immaginato che forse c’era un problema non c’era nessun problema, solo che le fragole costavano duecento rubli, è saltato fuori alla fine. Poi dopo stasera andiamo al mare, se non piove, e domani andiamo a portare una rosa nella casa dove abitava Charms, quello che ha scritto Vecchie che si ribaltano, e basta.
[Cattedrale dell’icona della madre di Dio di Vladimir, San Pietroburgo]
Ecco io l’altro esempio che vorrei fare riguarda l’inizio di Memorie dal sottosuolo di Dostoevsij, o Ricordi dal sottosuolo, o Appunti dal sottosuolo, anche questa storia dei titoli, una volta ho visto un romanzo di Dostoevskij che si intitolava Gli indemoniati, Vacca, ho pensato, un inedito, invece era I demòni che gli avevan cambiato titolo. Ma torniamo all’inizio di Memorie dal sottosuolo, o Ricordi dal sottosuolo, o Appunti dal sottosuolo.
L’inizio in russo è così: Ja celovek bol’noj, ja sloj celovek, ne privlekatel’nyj ja celovek; ja dumaju, chto mne bolit pecen’, che tradotto più o meno sarebbe Io sono un uomo malato, un uomo cattivo, sono, un brutto uomo, sono io; credo di esser malato di fegato. Che è un inizio dove Dostoevskij costruisce una specie di trottola sonora, nella quale il pronome, ja, io, il sostantivo, celovek, uomo, e l’aggettivo, bol’noj, sloj e neprivlekatel’nij, sono sempre presenti nelle prime tre frasi ma si cambiano di posto, Ja celovek bol’noj, Ja sloj celovek, Neprivlekatel’nyj ja celovek. È una cosa che fa girare la testa, dal tanto che è fatta bene, secondo me; con questa frase, quasi esclusivamente con l’involucro sonoro della frase, Dostoevksij ci dà il carattere del personaggio; l’uomo del sottosuolo, contraddittorio disperato ridicolo così simile a noi, è già tutto qui: Io sono un uomo malato, un uomo cattivo, sono, un brutto uomo, sono io. Credo di essere malato di fegato.
Ecco, sono andato a prendere la traduzione di Ricordi dal sottosuolo nell’edizione dei classici della Bur: Sono un malato… Sono un malvagio. Sono un uomo odioso. Credo d’aver male al fegato. Il suono, di Dostoevskij, la trottola sonora, non c’è più. Ci han messo anche tre puntini dopo malato che chissà da dove saltano fuori. Il suono, nelle traduzioni in prosa, stranamente, sembra che non gliene freghi niente a nessuno. Come se il suono non fosse l’equivalente del significante, e come se non sapessimo tutti che significato e significante vanno via insieme, come ci hanno insegnato.
Ieri siamo stati al museo russo e la prima cosa che la guida ci ha detto, di non toccare i quadri con le mani. Poi la sera ho guidato il gruppo fino a ulica Rossi e al teatro Aleksandrinskij e ho sbagliato strada, sono andato dall’altra parte abbiam camminato quaranta minuti per niente, poi mi sono scusato, siam tornati indietro, chi non era stanchissimo è venuto siamo arrivati, alla fine, e quando siamo arrivati mi sono scusato ancora e ho pensato che forse non è il mio mestiere, fare la guida.