Il modo migliore
«Il modo migliore per ascoltare la messa» diceva Wystan Auden «è non conoscere la lingua».
[Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, trad. di Gilberto Forti, Milano, Adelphi 1991, p. 78]
«Il modo migliore per ascoltare la messa» diceva Wystan Auden «è non conoscere la lingua».
[Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, trad. di Gilberto Forti, Milano, Adelphi 1991, p. 78]
La speranza, diceva Francesco Bacone, è una buona colazione ma una pessima cena.
[Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, trad. di Gilberto Forti, Milano, Adelphi 1991, p. 29]
Uno, che si chiamava Isoif Brodskij, quando gli avevano chiesto a cosa stesse lavorando, aveva risposto “Su me stesso”.
[Dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione, nella foto Brodskij con il gatto Missisippi]
Per scrivere ci vogliono due cose, una macchina da scrivere, e una sedia. Esistono solo le cose che si fanno tutti i giorni. Un uomo libero, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno. Questo è tutto quello che bisogna sapere per scrivere un romanzo bellissimo.
C’era uno che era stato capace di dire che se vogliamo avere una parte più importante, la parte dell’uomo libero, dobbiamo essere capaci di accettare, o almeno imitare, il modo in cui un uomo libero è sconfitto. E un uomo libero, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno.
[Iosif Brodskij, dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]
Non uscire dalla stanza, non commettere l’errore.
Se hai le Šipka da fumare, cosa te ne fai del sole?
Niente, là fuori, ha senso, neanche le urla di gioia.
Vai fino al gabinetto e poi torna, presto, indietro.
Oh, non uscire dalla stanza, non chiamare il taxi.
Che lo spazio è costituito dal corridoio,
e finisce con il contatore. E se entra la tua amata,
con le fauci spalancate, mandala via senza spogliarti.
Non uscire dalla stanza; pensa di essere malato.
Cosa c’è, al mondo, di più bello, di un muro scrostato?
Perché andar via da dove tornerai, dopo, di sera,
uguale a come eri e, in più, intossicato?
Oh, non uscire dalla stanza. Balla una bossanova, ispirato,
le scarpe ai piedi nudi, e solo la giacca addosso.
L’ingresso puzza di sciolina, di cavolo bollito,
hai già scritto molte lettere; una in più sarebbe troppo.
Non uscire dalla stanza. Oh, che la sola stanza immagini
l’aspetto che hai. E, in generale: incognito
ergo sum, come ha notato la forma nel cuore della sostanza.
Non uscire dalla stanza! In strada non c’è mica la Francia.
Non far l’asino! Sii quello che gli altri non son stati.
Non uscire dalla stanza! Dai la libertà ai tuoi mobili usati
di diventare un tutt’uno con la carta da parati. Bàrricati, nella stanza,
dietro l’armadio contro il crono, il cosmo, l’eros, il virus, la razza.
[Una poesia, del 1970, di Iosif Brodskij. L’abbiamo tradotta con le studentesse del secondo anno del corso di traduzione editoriale dal russo della Iulm, Giada Bertoli, Francesca Giordano, Verdiana Neglia, Irene Verzeletti. L’originale è in rima, qui Brodskij la legge ad alta voce: clic]
Brodskij una volta ha detto che in Unione Sovietica, rispetto all’occidente, era come se ci fosse una forza di gravità decuplicata: impossibile fare delle capriole. Ecco a me in questi giorni sembra di essere in Unione Sovietica: impossibile fare delle capriole.
Il mondo non è più com’era
un tempo, quando regnavano sovrani abat-jour, fox-trot,
e la paura, insieme a sottovesti e ad arguzie salaci a volontà.
Chi avrebbe mai pensato
che la gomma del tempo li avrebbe cancellati
come sgorbi a matita sulla carta? Certo nessuno.
Eppure il tempo con il suo frusciare
proprio questo ha fatto. Vallo a rimproverare.
[Iosif Brodskij, Fin de siècle, in E così via, traduzione di Anna Raffetto, Milano, Adelphi 2017, p. 103]
A.M.B. Potrebbe descriverci la sua filosofia di vita?
I.B. Non è una filosofia di vita, è solo una serie di espedienti. Se dovessi definirla una filosofia, allora direi che è una filosofia della sopportazione. È molto semplice. Quando sei in una brutta situazione, hai due modi di affrontarla: mollare tutto o cercare di resistere. Io cerco di resistere il più a lungo possibile. Ecco, la mia filosofia è questa: tutto qui, niente di speciale.
[Anne-Marie Brumm, La musa in esilio, conversazione con il poeta russo Iosif Brodskij, in Iosif Brodskij, Conversazioni, a cura di Cynthia L. Haven, traduzione di Matteo Campagnoli, Milano, Adelphi 2015, p. 51]
C’era uno che si chiamava Iosif Brodskij che di mestiere faceva il poeta. Per le sue poesie era stato accusato di parassitismo sociale e poi costretto a lasciare il suo paese. Della sua condizione di scrittore in esilio pensava che somigliasse a quella di un cane o di un uomo catapultato dentro a una capsula e che la sua capsula era il linguaggio. Il linguaggio in esilio diventa destino, diceva, prima ancora di diventare un’ossessione o un dovere.
(Dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione, questo matto è di Barbara Soprani)