L’eroica nescienza delle madri

lunedì 7 Aprile 2014

manganelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dunque, l’autore non sa, non deve sapere sul suo lavoro neppure quanto ne sanno gli altri. Di più: egli ha l’oscura sensazione che quell’ambiguo essere che egli ha dato alla luce con la calliditas corporale e l’eroica nescienza delle madri, venga stuprato da ogni volontà di capire quel che vuol dire. E sebbene sappia di averlo destinato allo stupro fin dall’inizio, il pensiero che si voglia spiegare «che cosa vuol dire» lo riempie di istintivo orrore. Un naturale impeto lo porterà a dire sempre di no, o addirittura a non capire quel che gli altri «capiscono».

 

[Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Milano, Adelpi 1985, p. 221]

L’amore

venerdì 14 Marzo 2014

manganelli, penombra mentale

 

 

 

 

 

 

 

L’amore è stata una parte importante della mia vita, secondo soltanto allo studio delle lingue. Scrivilo così, pari pari.

 

[Giorgio Manganelli, La penombra mentale, Roma, Editori Riuniti 2001, p. 73]

Esiste?

giovedì 13 Marzo 2014

Giorgio Manganelli, La favola pitagorica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da una rivista di Ascoli Piceno ricevo una lettera, nella lettera mi si chiede se non vorrei scrivere due o tre cartelle per quella rivista. La lettera viene da una zona periferica, e chi vive in quel luogo è lieto di essere un periferico. Il punto è: esiste Ascoli Piceno? Ricordo di averla visitata in una esistenza che, per molti indizi, dovrei considerare precedente; quello che non ho potuto stabilire è se Ascoli Piceno esiste ora. Rammento di aver bevuto l’anisetta in una piazza estremamente decorativa; ritengo improbabile che una piazza così fatta esista veramente; probabilmente è una allucinazione, come la parola «rua» per designare una strada, o le olive ripiene. Sappiamo che nessun ricordo dà la certezza che qualcosa sia veramente accaduto; non è impossibile che io soffra di una nevrosi ascolana, una forma che suppongo rara, e curabile solo da analisti ascolani che siano giunti, da soli, per autoanalisi, alla scoperta che Ascoli Piceno non esiste, è solamente una tradizione, anche se estremamente ricca di particolari. Ora, il problema potrebbe essere: se Ascoli Piceno esistesse, e quindi potrebbe, niente più che potrebbe, esistere una rivista, e se questa rivista mi chiedesse un racconto di due-tre cartelle io risponderei positivamente? Non credo.

[Giorgio Manganelli, La favola pitagorica, Milano, Adelphi 2005, pp. 93-94]

Ancora

martedì 29 Ottobre 2013

manganelli, improvvisi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho davanti agli occhi lo stemma della Repubblica Italiana: la stella a cinque punte, una ruota dentata, tutt’attorno una corona di verdure varie – che poi saprò essere quercia e ulivo – e la scritta Repubblica Italiana su di un nastro, o meglio uno di quei foglietti fragili e sottili che adornavano di sentimenti i cioccolatini d’una volta.
Esiterei a definirlo bello o interessante. So che ha quarant’anni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giuliano Amato, ha detto: «Ci siamo chiesti se gli italiani si riconoscono ancora nel simbolo che combina insieme la ruota dentata, la stella a cinque punte, e i rami di quercia e di ulivo» (è così che ho appreso di che era fatta quella esornativa verdura). È un’affermazione, questa di Giuliano Amato, che merita un breve esame.
In primis, la domanda, se gli italiani «si riconoscano ancora in quel simbolo». Credo che il numero di emigranti pronti a scoppiare in lacrime clamorose scorgendo quella ruota dentata sia del tutto irrilevante. Credo che poche persone, sperabilmente innocue, si siano «riconosciute» in quel simbolo: la contemplazione di quel simbolo potrebbe entrare in un test psicanalitico non privo di interesse. Ma c’è dell’altro: penso a quell’«ancora» della dichiarazione di Giuliano Amato. Evidentemente, egli pensa che il simbolo sia invecchiato. Ma i simboli non invecchiano. Non hanno età. Ad ogni scoccar di secoli sono più solidi, imperativi, fascinosi. Le aquile di Roma, la civetta di Atene. I veri simboli uno li vede anche in sogno. Chi ha mai sognato quella ruota dentata? In verità quello non era un simbolo, era un timbro.
I timbri invecchiano. In Italia, nascono vecchi.

[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Leonardo, Milano 1989, p. 147]

Mi abbottono e corro

venerdì 11 Ottobre 2013

manganelli, cina e altri orienti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono davanti alle ceramiche igieniche internazionali, impettito e indecoroso, e sto pisciando. Ed ecco sento una spazzola leggera che percorre affettuosamente la mia schiena. Non ci credo, e tuttavia non v’è dubbio: qualcuno in quel momento mi sta spazzolando. Mormoro qualcosa, tento di schermirmi, mi sento degradato a livello di potente della terra. Quando, un istante dopo, mi sto lavando le mani, qualcuno con grazia e inefficienza mi spazzola le scarpe. Lo guardo, è piccolo, magro, tra olivastro e nero: ha il tocco leggero e ama produrre sensi di colpa tra i clienti dell’aeroporto. Naturalmente, sono a Manila; più esattamente, sto per partire, e questo paese tetramente sorridente, docile e magro, si congeda con un gesto che potrebbe essere infimo, ma che non manca della malinconica, ironica dignità che sempre si riconosce nell’astuzia dei poveri e degli oziosi. Mi abbottono e corro verso l’inshallah delle linee aeree pakistane.

 

[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelphi 2013, p. 56]

Torino

lunedì 9 Settembre 2013

manganelli, cina e altri orienti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Arrampicato in cima al cielo, l’aereo guarda in giù. «Che strano,» mi dice «mi sembra di essere a Torino». Assento. Non è bene contraddire gli aerei. D’altra parte un aereo ha uso di mondo, viaggia, si fa delle idee. Ad esempio, questa stravaganza: che questa cosa enorme, geometrica, questo disegno che si spalanca come una mappa sotto di noi, questo rigido ideogramma sia in qualche modo Torino, o insomma abbia del torinese. Conoscete Torino; strade rettilinee, angoli retti, piazze rettangolari, nell’insieme l’idea di una geometria fatta città. Ma questa sotto di noi non è Torino, è Pechino; anzi come presto impareremo a dire, è Beijing, un nome strano, che non ha la grazia da operetta di «Pechino», un nome che mi fa sentire invecchiato. Come si può rinunciare ad un nome laccato, scintillante ed esotico come «Pechino»? Beijing è cupo, sordo, senza scintillii. Ma, mentalmente, dove siamo? A Pechino, o a Beijing?

[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelphi 2013, p. 227]

Come fare a andare in Cina

domenica 18 Agosto 2013

manganelli, cina e altri orienti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando uscirono i miei articoli sul viaggio in Cina, un lettore mi scrisse per chiedermi come si faceva ad andare in Cina; non gli risposi, e ancora me ne cruccio, perché la mia risposta sarebbe stata come segue: in primo luogo, lei vada a Ferrara; poi copri un paio di bretelle; ah, mi raccomando, debbono essere bretelle blu. Poi chiacchieri con gli amici, se ne faccia. Alla fina riparta e tenga il telefono pronto sul tavolo. Un giovedì il telefono squillerà e qualcuno le chiederà «Domenica è libero? Andrebbe in Cina?». A me le cose sono andate in questo modo, e questo spiega la mia riluttanza a dare delle «spiegazioni».

[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelphi 2013, p. 293]

Dico ai miei amici che vado in Abruzzo

mercoledì 7 Agosto 2013

manganelli, cina e altri orienti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Accadono eventi stravaganti in una vita: innamoramenti, lotterie, terremoti, rime inspiegabilmente perfette. Qualche giorno fa mi è giunto un invito: vuole venire a Baghdad? Si dà il convegno dei poeti arabi, non la interessa? Mi interessa; ma non posso negarlo: sono incredulo. Ma è vero; schietto, autentico Baghdad. Dico ai miei amici che vado in Abruzzo, dove sono considerato di casa, e vado a Baghdad.
Quattro ore di volo; un grande, lucido, efficiente aeroporto; una Francoforte del Medio Oriente; ma semivuoto. Già, la guerra. È la prima domanda che tutti fanno; «tutti» sono gli invitati: noi italiani siamo in tre. Dov’è la guerra?

[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelhpi 2013, p. 213]

Sia

domenica 21 Aprile 2013

manganelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non v’è letteratura senza diserzione, disubbidienza, indifferenza, rifiuto dell’anima. Diserzione da che? Da ogni ubbidienza solidale, ogni assenso alla propria o altrui buona coscienza, ogni socievole comandamento. Lo scrittore sceglie in primo luogo di essere intuile: quanto volte gli si è gettata in faccia l’antica insolenza degli uomini utili: «buffone». Sia: lo scrittore è anche buffone. È il fool: l’essere approssimativamente umano che porta l’empietà, la beffa, l’indifferenza fin nei pressi del potere omicida.

[Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Milano, Adelphi 1985, p. 218]

 

 

 

 

Longilineo

lunedì 11 Marzo 2013

Ogni viaggio è il più bel viaggio del mondo. Non fanno il viaggio né la lunghezza né la durata, né le così dette meraviglie, i capolavori che ci può accadere di vedere. Il viaggio è fatto in primo luogo di se stesso. È uno spazio longilineo, dentro il quale, come in una fessura del pianeta, cadono immagini, profili, parole, suoni, monumenti e fili d’erba.

[Giorgio Manganelli, La favola pitagorica, Milano, Adelphi 2005, p. 11]