Una cosa importantissima

domenica 28 Marzo 2021

Stamattina, vicino a San Luca, c’era un signore, con un cappellino della Pirelli, che spingeva il suo bambino di due anni sul passeggino, e gli diceva «Le moto rosse sono le Ducati. Quelle tutte rosse. Le altre non sono Ducati, hai capito?». Aveva un tono come se gli stava dicendo una cosa importantissima.

Eloquenze

domenica 28 Marzo 2021

«Mi ricordo l’unica volta che ho visto mia mamma piangere. Stavo mangiando una crostata di albicocche».

[Martedì, su Instagram, parlo dei casi in cui uno è eloquente senza essere magniloquente, come Joe Brainard, in questo caso]

L’arte del disordino

venerdì 26 Marzo 2021

Stamattina mi sono svegliato convinto di avere perso il certificato che diceva che mi ero vaccinato. L’ho cercato, l’ho trovato, adesso sto così bene. Persone ordinate, che vite poco interessanti. Dovrei scrivere un manuale: L’arte del disordino.

Una cosa evidente

mercoledì 24 Marzo 2021

Hanno deciso i giorni e gli orari delle prossime giornate del campionato, il Parma non gioca mai alla domenica alle 15, è evidente che in Lega c’è qualcuno che non vuole che io vada a Quelli che il calcio.

Nooooo

martedì 23 Marzo 2021

Martedì 30 marzo, alle 19, sul mio profilo Instagram, parlo della lingua di tutti i giorni (la foto è di Chiara Alessi).

Niente

martedì 23 Marzo 2021

Sono in treno da 40 minuti, di fianco a me una donna ha detto, a suo marito, il doppio delle parole che io dico in un giorno. Suo marito, in 40 minuti, non ha dato segni di vita. Mai annuito neanche per sbaglio.

Assassini

sabato 20 Marzo 2021

Oggi ho visto una serie televisiva che l’assassino è quello con la macchina con l’Arbre magique.

Una proposta

venerdì 19 Marzo 2021

L’altro giorno mi ha telefonato uno, che non legge letteratura italiana contemporanea, mi ha detto, che voleva fare un film da un mio romanzo che non aveva letto. Ho pensato che forse era meglio di no.

Paura

mercoledì 17 Marzo 2021

L’altro giorno, stavo uscendo di casa per andare allo stadio a vedere la partita del Parma, ho preso al volo una mascherina, mi sono accorto che era la prima mascherina lavabile che avevo comprato un anno fa, a Bologna, in via Saragozza, in una panetteria. E ho provato una specie di affetto, per quella mascherina, la mia prima mascherina, e un piccolo brivido pensando: “Un anno fa”.
Ho sofferto di tante malattie, nella mia vita, enuresi, reumatismi, ipertensione, ma nessuno ha mai pronunciato, in mia presenza, la parola “depresso”, riferita a me.
Non ho mai sentito nessuno dire che ero depresso o che soffrivo di depressione, né mi son mai rivolto a qualcuno per curarla. Eppure mi è successo, ogni tanto, di stare in casa per un certo periodo, sei mesi, tre mesi, due settimane, senza volere incontrare nessuno e senza voler pensare a niente, come immagino facciano i depressi, non sono sicuro.
Erano sempre momenti che precedevano un cambiamento che mi sembrava importante: iscrivermi all’università, a 25 anni, laurearmi, a 31, pubblicare il mio primo romanzo, a 35.
A pensarci, non so se era depressione, forse era paura.
Ho sofferto tanto di paura, nella mia vita.
Enuresi, reumatismi, ipertensione, paura.
Ma non sono ipocondriaco, non ho paura di ammalarmi, il contrario: ho paura di essere sano, ho paura di fare le cose che mi piacciono.
Quando penso alla paura mi viene in mente un libro sull’Iran di un celebre giornalista polacco, Shah-in-shah, di Ryszard Kapuściński, la parte in cui Kapuściński scrive: «I libri sulle rivoluzioni iniziano di solito con un capitolo dedicato alla corruzione del potere in declino, alla miseria e alle sofferenze del popolo. Dovrebbero invece cominciare con un capitolo di analisi psicologica dove si spieghi il processo per cui un uomo oppresso e in preda al terrore vince improvvisamente i suoi timori e smette di avere paura. È un processo insolito, che talvolta si compie in un attimo come per una specie di choc liberatorio: l’uomo si sbarazza della paura e si sente libero. Senza questo processo, non ci sarebbe alcuna rivoluzione» (la traduzione è di Margherita Belardetti).
Ecco, di questi lunghi momenti di solitudine, la cosa che ricordo con più chiarezza, l’evento che mi è rimasto impresso nella coscienza, che se ci penso mi ritrovo lì, in mezzo alle cose che c’erano allora, è la rivoluzione che li ha fatti finire.
Per andare a iscriversi all’università, nel 1988, per andare in biblioteca a cercare dei libri per la tesi, nel 1994, per andare allo stadio, nel 1998.
Da solo.
Allo stadio, da solo, e eran degli anni che non andavo allo stadio, e non sapevo nemmeno bene che partita c’era (Parma – Udinese, ho scoperto), e non sapevo nemmeno bene come erano messe in classifica, e non mi interessava: non volevo veramente vedere una partita di calcio, volevo vedere della gente, volevo vedere quindicimila persone che non conoscevo e che non mi conoscevano e stare per due ore con loro, nell’abbraccio di quella folla di sconosciuti dopo due settimane di paura.
E ho pensato, l’altro giorno, mentre uscivo di casa per andare a vedere Fiorentina Parma che io, tra i tifosi di calcio italiani, sono un privilegiato, perché ogni tanto, quando il Parma gioca di domenica alle 15 e mi invitano per la trasmissione di Rai 2 Quelli che il calcio, io posso vedere dal vivo una partita del Parma, che è un privilegio che pochissimi hanno, in questo periodo; ma è tutta un’altra cosa. Da quando ho comperato quella mascherina, da un anno, non ci sono quei 15.000 o 30.000 o 60.000 sconosciuti, non c’è più il rito, non c’è più la gente e, mi dispiace confessarlo: mi manca.
Io, mi dispiace confessarlo, non ne posso più.
E mi dispiace confessarlo perché a me, per come son fatto, piace moltissimo, stare da solo.
Quando Gaber cantava «La libertà è partecipazione» io scuotevo la testa da una parte e pensavo «Chissà», per me la libertà è andare a iscriversi all’università, andare in biblioteca a prendere dei libri per finire la tesi, andare allo stadio da solo senza sapere che partita c’è; io ammiro un filosofo che si chiama Epitteto che esorta a preoccuparci solo dalle cose che dipendono da noi, non di quelle che dipendono dagli altri, e tra le cose che dipendono da noi mette «il nostro umore»; io sono un individualista, e aspiro a essere un anarchico; io, nella mia compiutezza, aspiro ad essere un anarco-individualista, che è una categoria della quale il mondo ha una pessima opinione, oggi, e va bene così; io ho fondato la mia insignificante personalità sulla capacità di stare bene da solo, e l’altra sera, dopo che ho provato a fare una diretta Instagram che non mi riusciva, e dopo che ho provato a leggere il contatore dell’acqua e ci ho messo quarantacinque minuti e non ci riuscivo, mi son sentito da solo, dopo tanti anni, mi mancava qualcuno che mi dicesse di portare pazienza, e ero arrabbiatissimo non so con chi, con Instagram, forse, o col contatore dell’acqua, probabilmente, ero in preda a un umore che non dipendeva da me, dipendeva dal fatto che, ormai è un anno, non posso più incontrare la gente, quella gente che è una vita che cerco il più possibile di evitare.
Mi mancano, quei 15.000, mi manca, per la quarta volta, l’abbraccio degli sconosciuti, come se davanti a me ci fosse, ancora, per la quarta volta, una cosa che mi fa paura che, mi vien da pensare, potrebbe essere la fine della pandemia, ma non credo. Chissà cos’è.

[Uscito ieri sulla Verità]

Ecco

lunedì 15 Marzo 2021

Quando il Parma vince, il giorno dopo io son così contento che lavoro meno, quest’anno ho lavorato un sacco.