A Mantova

lunedì 25 Agosto 2014

Credo che a Mantova andrò a vedere la cosa numero 82 (non riesco a scrivere la parola ev…, ev…, non ci riesco), quella dove Marco Belpoliti presenta Gian Piero Piretto che parla della Russia, perché Piretto studia la lingua, la letteratura e la cultura russa con un’attenzione non solo ai grandi autori o alle grandi figure storiche, anche alla gastronomia, agli zolfanelli, alle carte delle caramelle, dei cioccolatini, alle canzoni, ai film, ai cartelloni pubblicitari, al posto che, nelle case sovietiche, avevano le cucine, che dovevano scomparire (sembra che Lenin le odiasse, le cucine), all’atteggiamento del regime nei confronti della sessualità («La classe, nell’interesse dell’opportunità rivoluzionaria – scrive A. B. Zalkind, in un libro del 1925 intitolato Rivoluzione e gioventù, ho letto in un libro di Piretto, – ha il diritto di intromettersi nella vita sessuale dei suoi membri. La sessualità deve in tutto e per tutto essere sottomessa al concetto di classe, non interferire minimamente con quest’ultimo e servirlo in tutto e per tutto».

Andrò poi a vedere la cosa numero 96, con Vivan Lamarque, perché mi interessa molto quello che la Lamarque fa con le parole, che riesce a fare delle cose memorabili con delle parole semplicissime, come mi sembra succeda in questa poesia (cito a memoria): «Siamo poeti, / vogliateci bene, / da vivi di più, / da morti di meno, / che tanto non lo sapremo».

Andrò poi a vedere la cosa numero 161, quella in cui Carlo Zucchini parla di Giogio Morandi, perché Giorgio Morandi a me interessa moltissimo, tutte quelle bottiglie, sempre quelle bottiglie, solo quelle bottiglie; mi ricordo quando ho trovato nello studio di un pittore russo che mi piace molto, Vladimir Šinkarëv, un catalogo di Morandi, era come trovare un pezzo di casa a San Pietroburgo, e mi è sembrato che quelle bottiglie sempre così bottiglie e sempre solo bottiglie fossero diventate, d’un tratto, le mie bottiglie, lì a San Pietroburgo.

Infine, andrò a vedere la cosa numero 193, con Bruno Tognolini, perché Bruno Tognolini è capace di scrivere delle cose che tolgon la pelle di dosso, come la Filastrocca per la morte del nonno, che fa così: «Caro nonno, son passati tanti giorni / Ho aspettato e ho capito che non torni / Ti hanno messo come un seme in un bell’orto / Ho guardato e ho capito che sei morto / Vorrei farti ritornare, ma non posso / Nel mio cuore il dolore ha fatto un fosso / In quel fosso come un seme ti ho sepolto / E per innaffiarti bene ho pianto molto / È venuta primavera e sei fiorito / Quando il pianto dei miei occhi era finito / Ora è maggio e oramai non piango più / Nel giardino son fioriti i gigli blu / E io ancora non ti vedo, però ora so perché / Non ti vedo perché sei dentro di me».

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