25-30 gennaio 2011

venerdì 4 Febbraio 2011

Piccolo diario
Casalecchio di Reno – Bologna – Carpi – Cracovia
Auschwitz – Birkenau – Cracovia – Carpi – Casalecchio di Reno
25-30 gennaio 2011

Prima di partire, la serie di frasi: «Prendo l’acqua, no, è inutile, che tanto me la danno in treno e poi comunque ho la frutta», fa quattro giri della mia testa, nei quaranta minuti che ci metto a arrivare sul treno.
Ogni anno, mi porto sempre più roba. Quest’anno ho preso su tre cappelli, e tre quaderni, e due taccuini, e quattro maglie di lana e due calzamaglie.
Un ragazzo pelato, tutto vestito di nero, un po’ sovrappeso, con una carnagione chiara ma troppo, come se mangiasse male, che stava prendendo qualcosa al distributore automatico, tra i binari 2 e 3 del piazzale ovest a un certo punto ha sentito un rumore, ha chinato la testa, ha guardato per terra, un bottone.
Che dispiacere, quando ti cade un bottone. Certe volte vuol dire che sei ingrassato. Certe altre volte che stai ingrassando. Cioè che sei ingrassato e che continuerai a ingrassare.
La frase: «Questa volta non mi sembra di essermi scordato niente» ha fatto tre giri della mia testa, nell’ora e quaranta minuti che ci ho messo a arrivare, fino a quando, sul binario uno della stazione di Carpi non mi son detto: «Ecco, la sveglia. Non ho preso la sveglia. O forse l’ho presa e non mi ricordo».
«Scusi, – chiede un anziano con una sciarpa a rombi che deve avere degli anni, ce l’avevo anch’io quand’ero un ragazzo, poi la ditta che le faceva è fallita, vent’anni fa, – scusi, – chiede, – dove va questo treno?».
«Ad Auschwitz».
«Ecco, – dice lui, – a spese del contribuente. E perché non andate nei gulag?» chiede.
«Perché son più lontani», gli rispondono.
E lui scuote la testa come per dire che non è d’accordo. Che è strano. Perché i gulag, è un dato di fatto, son più lontani.
Sul treno che parte a spese del contribuente, non si riesce a scrivere niente, se non che, a un certo punto, tirano il freno a mano. Senza volere.
In Polonia c’è un bel freddo. «Se non ci fosse la Polonia, – sento dire, – non ci sarebbero i polacchi». «I polacchi, – sento dire, – erano quelli che attaccavano i carri armati con la sciabola».
Nel camerino numero 3 della Filarmonica di Cracovia c’è un’arpa senza una corda e un’asse da stiro, azzurra. Un divano grigio azzurro, due poltrone e un attaccapanni. L’asse da stiro e l’arpa hanno una faccia che viene da dire polacca, l’attaccapanni non sa di niente.
Sul palco della filarmonica di Cracovia c’è odore di cetriolo. È proprio, un po’, nel mio naso, l’odore dell’est. La canna di un organo, vista da vicino, sembra un grandissimo fischietto.
Fuori dalla filarmonica c’è odore di zolfo. Una ragazza mi dice che suo nonno, il 9 gennaio del 1950, a Modena, portava il gonfalone, gli ha sparato la polizia. Gli è entrata una pallottola nel mento, gli è uscita da dietro al collo.
Il giorno della memoria, il 27 gennaio, non possiamo andare a Birkenau perché c’è la visita dei presidenti polacco e tedesco.
La nostra guida ci prega di non masticare gomma, ad Auschwitz, perché «per i polacchi è vizio».
Quando arriviamo nella stanza dei capelli ci dice «Prego non fotografare perché capelli umani umani, fanno parte di vittime».
C’è una foto, una balla di iuta, grande, e nella didascalia si dice che è una foto scattata dai sovietici, quando sono arrivati. E io mi immagino il soldato sovietico che ha aperto questa balla di iuta, grande, e ci ha trovato dentro dei capelli umani.
Gli olandesi nel loro padiglione hanno una parete coperta di nomi, scritti piccoli. Sono i nomi dei morti conosciuti.
La nostra guida ci dice che gli unici dei quali si conoscono tutti i morti, sono i rom. Perché l’internato, rom, che teneva il registro, quando ha capito che stavano per liquidarli, ha sepolto il registro. L’hanno trovato i sovietici.
L’autista del pullman numero 13 ha gli stivali da cow-boy, i capelli lunghi e una cravatta rossa.
A Birkenau non possiamo vedere la sauna perché stan sistemandola che il giorno prima c’è stata la visita dei presidenti polacco e tedesco.
Un ragazzo mi dice «Per un pezzo di pane. Cosa si fa per un pezzo di pane».
«Havel, – ci dice la guida, – la zona centrale di Cracovia che vedete a vostra sinistra, è parola che viene da celtico, significa Posto innalzato circondato da terreno paludoso».
Compro un cavallo bianco a pois neri di legno, una trottola di legno, della plastilina e delle mollettine di legno con delle piccole margherite.
Sulla via del ritorno un ragazzo si affaccia allo scompartimento e dice «Scusi, volevo chiederle una cosa, io l’ho sentita, ieri, che parlava della Shoah, ma volevo capire, perché non ha parlato di quello che hanno fatto i partigiani?».
Una ragazza ha scritto «Chiara, timida apertura fra gli incisivi».
A Verona c’è un bel freddo, e il sole. Quando arriviamo in Emilia nevica, si sta benissimo, ci son zero gradi.
A casa, sotto la doccia, le mani sporche di plastilina polacca, mi viene in mente che io, la cosa che non riesco a spiegarmi fin da quando son piccolo, è come mai non tutti mi vogliono bene.

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