La fame

venerdì 4 Marzo 2011

È magnifica la fame di versificazione dell’italiano antico, il suo appetito animalesco, da adolescente, per l’armonia, il suo desidero sensuale di rima: il disio.
La bocca lavora, il sorriso muove il verso, le labbra rosseggiano, intelligenti e allegre, la lingua si stringe fiduciosa al palato.
Non è possibile scindere l’immagine interiore del verso dall’infinita varietà di espressioni che guizzano sul viso del narratore mentre questi parla e si emoziona.
È l’arte del parlare che altera il nostro viso e ne sconvolge la quiete rompendo la maschera.
Avevo da poco cominciato a studiare la lingua italiana e ne conoscevo appena la fonetica e la prosodia, quando capii di colpo che in essa il baricentro dell’attività fonica è più vicino alle labbra, si sposta verso l’esterno della bocca. La punta della lingua assurge a improvviso onore; il suono si precipita verso la barriera dei denti. Un’altra cosa mi colpì: la puerilità della fonetica italiana, il suo bellissimo infantilismo, l’affinità con un melodico balbettio, con un dadaismo originario.

[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, cit.,p. 123]