Sono tanti

sabato 27 Maggio 2017

Era svaporato via perfino il Papa da poco tempo e non si parlava d’altro. Una brutta morte, povero Papa, dissi, ma capii subito che Miriam non aveva simpatia per lui. A Roma muoiono in media novanta persona al giorno, disse, e nessuno se ne accorge. Vai in giro per le strade, vedi la gente che ride, che va a spasso. Non viene in mente a nessuno che novanta persone stanno morendo nella città. Se ci pensi devi fare uno sforzo per crederci, i morti bisogna vederli per crederci. Novanta morti sono tanti, dicevo io, ma se ti allarghi un po’ fuori Roma diventano anche novecento e novemila. Anche novantamila, diceva Miriam. Novantamila morti sono tanti.

[Luigi Malerba, Il serpente, Milano, Bompiani 1966, p. 47]

Nel capitolo trentasei

venerdì 16 Settembre 2016

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Verso la fine del capitolo trentacinque Pinocchio stava nuotando in mezzo al mare con il babbo Geppetto sulle spalle. Il mare era tranquillo, la luna splendeva, il Pescecane dormiva, e Pinocchio nuotava. E nuotando pensava che non aveva nessuna voglia di entrare nel capitolo seguente, cioè l’ultimo, perché lì sarebbe diventato un ragazzino per bene e questo a Pinocchio, burattino scapestrato, non gli piaceva né punto né poco. Ma poteva abbandonare in mezzo alle onde il vecchio babbo che non sapeva nuotare? Per quanto scapestrato, Pinocchio non se la sentiva di fare una simile porcata.
Fu così che, nel capitolo trentasei, arrivò sulla spiaggia insieme a Geppetto con l’aiuto del Delfino, e fu così che andò a abitare nella bella capanna, e fu così che si trovò a lavorare per l’ortolano Giangio. Dopo avere intrecciato sedici canestri di giunco, una sera si addormentò e nel sonno, cioè nel sogno, incontrò la Fata turchina turchetta che incominciò una lunga tiritera per convincerlo a mettere giudizio. E Pinocchio scappò via di corsa piantando in asso la Fata e il sogno.
– Io mi trovo bene come burattino e non voglio diventare un ragazzo né perbene né per male – disse Pinocchio a se stesso mentre camminava nella campagna con le sue gambe di legno che facevano tric trac.
Ma adesso non sapeva dove andare. A tutto pensava meno che a trovarsi un lavoro perché aveva scoperto che lavorare è faticoso. Gli sarebbe piaciuto piuttosto recitare, cantare e ballare, come è giusto per un burattino, e allora decise che la cosa migliore era di trovarsi un posto in un’altra favola, dal momento che aveva abbandonato la sua.

[Luigi Malerba, Pinocchio con gli stivali, Roma, Cooperativa scrittori 1977, pp. 7-9]

Fictizie retorice abstracte

venerdì 6 Novembre 2015

Luigi Malerba, Il pataffio

Da l’alto del torrione di ponente si affaccia un soldato di sentinella e si mette a sgridare con le mani alla bocca.
«Vui chi sete e che vulete?»
Frato Capuccio scende dal mulo e si incarica di rispondere a nome di Berlocchio suo signore.
Frato Capuccio a gran voce:
«Arrivatus est dominus Berlocchius de Cagalanza! Marconte de Tripalle! A lui medesimo destinatus sicus bene dotalis! Dallo rege de Montecacchione! Secumendum constitutio de feudis! Amen!»
E la sentinella risponde subitamente:
«Si vulete lo castello de Tripalle andate dellà e non venite deqquà a rompecce li cojoni! Qua semo Castel Rebello, tanto per intenderce. Andatevene lontano subbitissimo si non vulete che ve reduciamo a sarsicce de porco!»
Sentendo nominare le sarsicce de porco, il marconte Berlocchio si affaccia al finestrino della carrozza.
«Indove stanno le sarsicce de porco?»
E frato Capuccio:
«Sunt sarsicce per modo de dire, eccellentissimus».
«Come sarebbe?»
«Sarsicce fictizie retorice abstracte sunt».

[Luigi Malerba, Il pataffio, Macerata, Quodlibet 2015, pp. 12-13]

Una quarta

mercoledì 5 Novembre 2014

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Se avete dei figli fategli mangiare fichi con le formiche. Arricchirete in questo modo i loro ricordi d’infanzia.

[Luigi Malerba, Consigli inutili. Seguiti da Biografie immaginarie, Macerata, Quodlibet 2014]

Animali

venerdì 6 Giugno 2014

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Il libretto di Luigi Malerba Le galline pensierose, appena ripubblicato da Quodlibet compagnia extra, è una raccolta di 155 testi come quello contrassegnato dal numero 2: «Una gallina pensierosa si metteva in un angolo del pollaio e si grattava la testa con la zampa. A forza di grattarsi diventò calva. Un giorno una compagna le si avvicinò e le domandò cosa la preoccupasse. “La calvizie”, rispose la gallina pensierosa». Viene in mente il libro preferito dal presidente del consiglio, Il piccolo principe, che, come il libro preferito dal sindaco di Parma, Il gabbiano Johnatan Livingston, è un libro illustrato, ed è un libro dove a un certo momento (capitolo XII) il piccolo principe incontra una bevitore e gli chiede “Cosa fai?”, “Bevo”. “Perché bevi?”, “Per dimenticare”. “Per dimenticare cosa?”, “Per dimenticare che ho vergogna”. “Vergogna di cosa?”, “Vergogna di bere”». Alla gallina numero 4, invece, succede più o meno la stessa cosa che succede a Fabrizio Del Dongo, quando giovanissimo, e senza sapere il francese, parte per andare a aiutare Napoleone, all’inizio della Certosa di Parma: «Una gallina vagabonda si trovò per caso in mezzo a un grande trambusto di uomini e cavalli, rischiò di venire calpestata, ma alla fine riuscì a scappare e andò a nascondersi sotto una siepe. Quando raccontò il fatto, le dissero che si era trovata in mezzo alla battaglia di Waterloo, dove era stato sconfitto Napoleone. La gallina vagabonda fu molto orgogliosa di essere stata testimone di un grande avvenimento storico». La gallina 53, invece («Le oche si vantavano con le galline perché le loro antenate avevano salvato Roma dando l’allarme dal campidoglio quando i galli avevano tentato di entrare dalle mura. Una gallina disse che se al posto delle oche ci fossero state le galline forse li avrebbero fatti entrare e così Roma, conquistata dai galli, sarebbe diventata il più grande pollaio del mondo»), si muove in un’altra direzione, antistorica, se così si può dire, e ricorda Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore romano d’occidente, che nella pièce di Friedrich Dürrenmatt Romolo il Grande, mentre arrivano i barbari pensa che la cosa migliore che può fare, aspettando l’arrivo dei barbari capitanati da Odoacre, è dar da mangiare alle proprie galline, che riconosce a una a una e che chiama per nome. La perplessità delle galline nei riguardi della storia la si ritrova anche nella gallina 57: «Una gallina romana passò sotto l’arco di Costantino, ma non provò nessuna emozione particolare. Ci passò una seconda volta e rimase ancora delusa. Si domandò perché mai Costantino avesse fatto costruire quell’arco per poi passarci sotto». La gallina numero 68 («Tutte le galline del pollaio si riunirono per discutere del significato del proverbio “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Nonostante le lunghe discussioni non arrivarono a capo di nulla. Alla fine una gallina disse che c’era un errore di stampa e che il vero proverbio era “Meglio un uomo oggi che una gallina domani”»), rimanda a un libretto di Ermanno Cavazzoni, Gli scrittori inutili, dove, a un certo punto, si dice così: «Due scrittori in riva al mare giocavano con la sabbia e il secchiello. C’era un terzo scrittore nei pressi che scavava con una paletta, e un quarto stava nell’acqua fino ai ginocchi contemplando le increspature del mare. Lontano, dove finiva la sabbia, un quinto scrittore succhiava un gelato. “È ora di scrivere,” gridava a un certo punto l’assistente sociale suonando allegramente una campanella. Al che tutti si alzavan festosi. Alcuni che erano in mare con il salvagente tornavano a riva: e così pure chi era tra gli scogli a guardare le alghe. “Avete fatto le osservazioni?” chiedeva l’assistente sociale. “Sì”, rispondevano gli scrittori in coro. “Anch’io le ho fatte,” diceva in ritardo uno scrittore più basso, ancora tutto bagnato, e mostrava un sassolino. Al che ridevano tutti, e anche lo scrittore più basso rideva». E voglio finire con le galline numero 103: «Due galline andarono al giardino zoologico e osservarono con curiosità tutti quegli strani animali dentro le gabbie. Alla fine si guardarono pensierose negli occhi e si domandarono perché mai non ci fosse anche una gabbia con dentro le galline. “Vuoi vedere”, si dissero le due amiche, “che le galline non sono animali?”».

[uscito ieri su Libero]

 

 

[uscito ieri su Libero]

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domenica 11 Maggio 2014

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Una gallina analfabeta desiderava molto imparare a fare la sua firma. Quando finalmente trovò una gallina che sapeva leggere e scrivere disposta a insegnarle, si batté una zampa sulla fronte ed esclamò: «Non so come mi chiamo!».

 

[Luigi Malerba, Le galline pensierose, Macerata, Quodlibet 2014, p. 19]

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sabato 10 Maggio 2014

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Una gallina pensierosa si metteva in un angolo del pollaio e si grattava la testa con la zampa. A forza di grattarsi diventò calva. Un giorno una compagna le si avvicinò e le domandò che cosa la preoccupasse. «La calvizie», rispose la gallina pensierosa.

[Luigi Malerba, Le galline pensierose, Macerata, Quodlibet 2014, p. 7]

Per tutta la vita

venerdì 14 Giugno 2013

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Questo è il Verano, dissi passando davanti al Verano, si finisce tutti qui, dissi. Era un pensiero disperato anche questo, ma lo sapevo io che cosa avevo in mente quel pomeriggio mentre stavo lì con il volante in mano al volante della mia Seicento multipla. Se uno non si fa radiografare, dicevo, non si accorge di essere malato perché si sente bene, nessuno vede niente, nessuno se ne accorge e magari si va avanti così per tutta la vita. Invece è malato, forse è molto malato e non lo sa. Bisogna preoccuparsi finché si è in tempo. Anche tu, dicevo.
No guarda che io sto benissimo, diceva Miriam, io non c’entro proprio.
A Milano, dicevo, c’è una clinica apposta dove fanno la revisione completa, entri lì e ti analizzano dalla testa ai piedi come dice il Corriere della Sera, quando esci sai tutto, se stai male, se stai bene, se tutto funziona o se c’è qualcosa di guasto, come in una officina. Quando entri in quei posti, diceva Miriam, qualcosa ti trovano sempre. Se trovano qualcosa è segno che hai qualcosa. Qui a Roma purtroppo una clinica così non c’è e allora bisogna incominciare con una bella radiografia generale, ti porto io da uno che conosco, c’è un Professore radiologo famoso che so io. Non adesso, diceva Miriam, un’altra volta. È qui vicino, dicevo io.

[Luigi Malerba, Il serpente, Milano, Bompiani 1979, pp. 103-104]

Ecco

sabato 5 Novembre 2011

Ecco che cosa era successo, non era successo niente.

[Luigi Malerba, Il serpente, Milano, Bompiani 1979, p. 138]

Perché scrive?

sabato 25 Dicembre 2010

Per esempio è appena uscito un libro, per la collana bianca di Einaudi, in cui sono raccolte le poesie di Nino Pedretti, poesie nel dialetto di Santarcangelo di Romagna, che dev’esser un paese, Guerra, Baldini, Pedretti, che son dei poeti, eccezionali, non so, ne leggo una, di Perdetti, in una traduzione un po’ rimaneggiata:

Non ditemi che il mondo è brutto,
malato, ridotto in merda,
il mondo ha bisogno di esser bello,
anche se ti urla il cuore,
anche se ti strappano le dita.

Ecco questa poesia qua, secondo me, quando ti chiedono, delle volte te lo chiedono, Perché scrive? Che è una domanda che non è tanto bella, sentirsela fare, che potrebbe sottendere un’altra domanda Perché non fa magari dell’altro, io quando mi chiedon così gli rispondo Per disperazione, che non è una gran bella riposta però è vero, io mi son messo a scrivere per disperazione, Luigi Malerba una volta quando gliel’han chiesto lui ha risposto Per capire quello che penso, che è una bella risposta, ma secondo me, a pensarci, una risposta ancora più bella sarebbe questa qua, Perché scive? Non ditemi che il mondo è brutto, malato, ridotto in merda, il mondo ha bisogno di esser bello, anche se ti urla il cuore, anche se ti strappano le dita.

[La matematica è scolpita nel granito, cit., pp. 65-66]