Io e te

domenica 19 Maggio 2019

In quel film, Sergej Dovlatov. I libri invisibili, Dovlatov confida a un suo amico, un contrabbandiere, che, per entrare nell’Unione degli scrittori, lui, Dovlatov, dovrebbe parlare del mondo che lo circonda con un tono entusiastico, encomiastico, senza la minima ironia, e lui non ce la fa, e il suo amico lo guarda e gli dice: «Ma andiamo, io e te, a rubare una macchina, è una cosa più onesta».

[Da I russi sono matti, in preparazione]

Dovlatov

domenica 14 Aprile 2019

dovlatov

Ho incontrato Fel’dman, l’economista. Dice:
– Sua moglie si chiama Sof’ja?
– No, – dico io, – Lena.
– Lo so, scherzavo. Lei non ha il senso dell’umorismo. È lettone, forse?
– Perché lettone?
– Ma scherzavo. Lei proprio non ha nessun senso dell’umorismo. Sta andando per caso dal logopedista?
– Perché dal logopedista?
– Scherzo, scherzo. Ma che fine ha fatto il suo senso dell’umorismo?

[Sergej Dovlatov, Sobranie sočinenij (Raccolta delle opere), Spb, Azbuka 2000, t. 4, p. 196]

Sergej Dovlatov

lunedì 25 Febbraio 2019

dovlatov

Iosif Brodskij ripeteva spesso:
– La vita è breve, e triste. Hai fatto caso a come, in genere, va a finire?

[Sergej Dovlatov, Sobranie sočinenij (Raccolta delle opere), Spb, Azbuka 2000, t. 4, p. 224]

Sergej Dovlatov

mercoledì 6 Febbraio 2019

dovlatov

Mia zia ha incontrato lo scrittore Koscinskij. Era ubriaco e con la barba lunga. Mia zia ha detto:
– Kirill! Non ti vergogni?
Koscinskij si è impettito tutto e ha detto:
– Il potere sovietico non se lo merita, che io mi faccia la barba!

[Sergej Dovlatov, Sobranie sočinenij (Raccolta delle opere), Spb, Azbuka 2000, t. 4, p. 137]

Il migliore pittore moscovita

venerdì 12 Ottobre 2018

[Ieri a Milano, allo Iulm, abbiamo tradotto un pezzetto di un libro con le fotografie di Marianna Volkova e i testi di Sergej Dovlatov che si intitola Non solo Brodskij (Mosca, PIK Kul’tura 1992); alla foto della Volkova che c’è qui sopra, per esempio, corrispondeva questo testo di Dovlatov]

Questa fotografia è stata fatta in un ospedale psichiatrico. Nella foto è rappresentato il pittore Jakovlev.
Bachčanjan, per dire, pensa che Jakovlev sia il migliore pittore moscovita. O, meglio, quello con più talento.
Oltretutto, Bachčanjan fino a un certo punto pensava che Jakovlev fosse perfettamente sano.
Una volta Bachčanjan gli ha detto:
– Mi lasci il suo numero di telefono.
– Scriva. Uno, due, tre…
– Poi?
– Quattro, cinque, sei, sette, otto…
E aveva contato fino a cinquanta.
– Va bene, – aveva detto Bachčanjan, – ci sentiamo…

Monasteri

giovedì 27 Settembre 2018

Ascanio Celestini, Matteo Bordone, Roberto Bui (Wu Ming 1), Maria Antonietta, Lisa Ginzburg, Alessandro Robecchi, Davide Enia, Fulvio Abbate, Daniele Giglioli, Roberto Camurri, Claudio Giunta, Monika Bulaj, Maurizio Bettini, Antonio Manzini, Riccardo Falcinelli, Dario Voltolini, Francesca Genti, Annalena Benini, Massimo Mantellini, Gaia Manzini, Francesca Manfredi, Andrea Mingardi, Martina Testa, Paola Gallo, Giorgio Biferali, Ginevra Lamberti, Marco Franzoso, Roberto Citran, Massimo Recalcati e Daniela Collu nelle biblioteche della provincia di Reggio Emilia dal 6 ottobre al 20 dicembre, a raccontare i libri (o le musiche, o i quadri) della loro vita per la rassegna Il monastero del proprio spirito, organizzata da Arci Reggio Emilia e Regione Emilia Romagna, immagine di Guido Scarabottolo, programma completo qui: clic
Il titolo viene da una cosa che Sergej Dovlatov ha scritto di Iosif Brodskij: «In confronto con Brodskij, – ha scritto Dovlatov – gli altri giovani anticonformisti sembrava che facessero un altro mestiere. Brodskij aveva creato un modello di comportamento inaudito. Non viveva in uno stato proletario, viveva nel monastero del proprio spirito. Non si opponeva al regime. Non lo considerava. E non era nemmeno sicuro della sua esistenza. Non conosceva i membri del Politburo. Quando sulla facciata del suo palazzo avevan montato un ritratto di sei metri di Mžavanadze (segretario del partito comunista georgiano), Brodskij aveva detto: – Chi è? Sembra William Blake».

Invece

venerdì 31 Agosto 2018

In un libro di Sergej Dovlatov a un certo momento si legge:

Questa cosa è successa all’accademia d’arte drammatica di Leningrado. Si era esibito davanti agli studenti il noto chansonnier francese Gilbert Becaud. Alla fine l’esibizione era finita. Il presentatore si era rivolto agli studenti.
– Fate delle domande.
Tutti avevan taciuto.
– Fate delle domande all’artista.
Silenzio.
E allora il poeta Eremin, che si trovava in sala, aveva detto, ad alta voce:
– Chèl òr ètìl? (Che ore sono?)
Gilbert Becaud aveva guardato l’orologio e aveva risposto, gentilmente:
– Le cinque e mezza.
E non si era offeso.

Ecco. La Russia di Dovlatov non era la Russia triste, seria e noiosa che in Italia si immaginava che fosse, la Russia di Dovlatov era un posto che mi sembrava di essere in un bar della periferia di Parma, con degli asini che erano simili, secondo me, agli asini parmigiani che conoscevo io.

Un monumento a Dovlatov

giovedì 19 Luglio 2018

[A San Pietroburgo, in ulica Rubinštejn, c’è un nuovo monumento a Sergej Dovlatov, che è quello che, dagli Stati Uniti, dove è andato perché in Russia non lo pubblicavano, e dove è riuscito a pubblicare tutti i suoi libri, ha scritto questa cosa qua:]

Io non discuto. Lo Stato sovietico non è il posto migliore al mondo. E laggiù c’erano tante cose spaventose. Tuttavia c’erano anche cose che non dimenticheremo mai.
Sgozzatemi, squartatemi pure, ma i nostri fiammiferi erano meglio di quelli americani. È una sciocchezza, tanto per cominciare.
Andiamo avanti. La milizia a Leningrado agiva più operativamente.
E non parlo dei dissidenti. Delle malefatte del KGB. Parlo dei normali, banali miliziani. E dei normali, banali teppisti…
Se si urla su una via di Mosca «Aiuto!», la folla accorre. Qui ti passano accanto.
Là, in autobus, cedevano il posto agli anziani. Qui non succede mai. In nessuna circostanza. E va detto che ci siamo abituati in fretta pure noi.
In generale c’erano molte buone cose. Ci si aiutava a vicenda un po’ più volentieri. E ci si azzuffava senza paura delle conseguenze. E ci si congedava dall’ultima banconota senza tormentosi indugi.
Non sta a me criticare l’America. Io per primo sono sopravvissuto grazie all’emigrazione. E amo sempre di più questo paese. Cosa che non mi impedisce, penso io, di amare la patria che ho lasciato…
I fiammiferi sono una sciocchezza. Sono altre le cose importanti. Esiste il concetto di pubblica opinione. A Mosca era una forza reale. Una persona si vergognava di mentire. Si vergognava di adulare le autorità. Si vergognava di essere venale, furba, cattiva. Le avrebbero chiuso le porte in faccia. Sarebbe divenuta uno zimbello, un reietto. E questo era peggio della galera.

[Sergej Dovlatov, La marcia dei solitari, tr. it. Laura Salmon, Palermo, Sellerio 2006, pp. 229-230]

Cinismo astratto

giovedì 12 Aprile 2018

Lëva Baranov ha più di sessant’anni. È un ex pitore-molotovista. Al principio della sua carriera, dipingeva esclusivamente Molotov. I suo lavori venivano esposti in innumerevoli edifici amministrativi, poliambulatori, comitati di lavoro. Persino sulle pareti delle chiese sconsacrate.
Baranov aveva studiato fin nei particolari l’aspetto di questo ministro dal viso di operaio qualificato. Per scommessa disegnava Molotov in dieci secondi e, come se non bastasse, lo disegnava anche ad occhi bendati.
Poi Molotov fu destituito. Lëva tentò di disegnare Chruščëv, mea era inutile: i lineamenti di un agiato contadino si rivelarono al di sopra delle sue fozre.
La stessa storia accadde con Brežnev. La sua fisionomia da cantante d’opera a Baranov proprio non riusciva. E così Lëva, dal dispiacere, si trasformò in astrattista. si mise a dipingere macchie, linee e ghirigori colorati. E inoltre si mise a bere e a far risse.
I vicini si lamentarono di Lëva con il commissario di quartiere:
– Beve, si azzuffa, si occupa di robe tipo cinismo astratto…
In definitiva Lëva emigrò [in America], si mise al volante [a fare il tassista] e si calmò. Nei momenti di tempo libero raffigura Reagan a cavallo.

[Sergej Dovlatov, Straniera, a cura di Laura Salmon, Palermo, Sellerio 2016 (4), pp. 13-14]

Se sentiamo parlare inglese

mercoledì 11 Aprile 2018

Nel nostro quartiere è accaduta questa storia. Marusja Tatarovič ha ceduto e si è innamorata del sudamericano Rafael. Per due anni ha tentennato, ma poi ha fatto la sua scelta. Seppure, a guardar bene, Marusja non avesse altro da scegliere.
Tutta la nostra via stava in ansia a vedere come si sarebbero evoluti gli eventi. Queste son cose, si sa, che qui da noi si prendono sul serio.
Noi, significa sei edifici in mattoni attorno ad un supermarket, abitati prevalentemente da russi. Cioè, da ex cittadini sovietici. Oppure, come scrivono i giornali, da emigrati della «terza ondata».
Il nostro quartiere si estende dalla rete ferroviaria fino alla sinagoga. Un po’ più a nord, c’è il Meadow lake, a sud il Queens Boulevard. E noi stiamo in mezzo.
La Centottava Strada è la nostra arteria principale.
Noi abbiamo negozi russi, asili, fotografi e parrucchieri russi. C’è un agenzia di viaggi russa. Ci sono avvocati russi, scrittori, medici ed agenti immobiliari russi. Ci sono gangster e matti russi. Prostitute russe. C’è persino un suonatore cieco russo.
Da noi gli abitanti del posto sono considerati alla stregua di stranieri. Se sentiamo parlare inglese, ci mettiamo subito in guardia. In questi casi, chiediamo con insistenza:  
– Parli russo!
È finita che alcuni abitanti si sono messi a parlare il russo. IL cinese della tavola calda mi saluta sempre in russo:
– Buongiorno Solženicyn! – (A lui vien fuore Soloseniza).

[(Mi sono accorto adesso che hanno ristampato) Sergej Dovlatov, Straniera, a cura di Laura Salmon, Palermo, Sellerio 2016 (4), pp. 11-12]