Se una donna è nervosa

domenica 19 Aprile 2015

Vins GAllico, Final cut

Il libro di Vins Gallico Final cut, appena uscito per Fandango, racconta la storia di un uomo che, quando un suo cugino gli offre dei soldi per riportare alla ex (del cugino) gli oggetti e gli effetti personali che questa ex aveva lasciato nella casa del cugino, lui, il protagonista, pensa di trasformare questa attività occasionale in un lavoro: apre una partita Iva, ordina divisa, carta intestata, compra un’Ape, ci fa stampare sopra il logo della ditta, che si chiama «Final cut», e diventa una specie di facchino specializzato in questi traslochi sentimentali per conto di clienti come un uomo «che per rispetto della privacy chiamai Y», e che «si era innamorato di una donna, una tale A, e l’aveva corteggiata per anni, non era successo nulla, finalmente ne aveva conosciuta un’altra, tale B. All’inizio andò tutto bene con B, finché Y non ricominciò a pensare alla precedente. Dopo tre anni B lo lasciò, Y stava malissimo, provò a recuperare il rapporto, fu un fallimento. Così entrò in gioco tale C, all’inizio tutto bene, finché Y non ricominciò a pensare a B. Quando Y mi aveva interpellato», dice il protagonista, «eravamo arrivati a tale G». Viene in mente il protagonista del Duello di Čechov, che, da due anni, vive nel Caucaso con una donna sposata, Nadežda Fëdorovna e che, due anni prima, a Pietroburgo, «quando si era innamorato di Nadežda Fëdorovna, aveva l’impressione che sarebbe bastato unirsi a lei e andarsene insieme nel Caucaso per salvarsi insieme dalla volgarità e dal vuoto della vita; allo stesso modo, ora, era convinto che gli sarebbe bastato lasciare Nadežda Fëdorovna e andarsene a Pietroburgo, per ottenere tutto ciò che gli era necessario».
Un classico rivisitato alla luce della contemporanea demenza, verrebbe da dire, l’amore al tempo delle startup, un libro che mi sembra interessante ma per scrivere il quale Gallico usa una lingua stranissima.
In Final cut, infatti, se una donna è nervosa non è nervosa, «è sull’orlo di una crisi di nervi»; se due stanno insieme più di dodici ore non stanno insieme più di dodici ore, «trascorrono fianco a fianco più di dodici ore»; se un viaggio comincia male non comincia male, «comincia sotto i peggiori auspici»; se una voce è monocorde non è monocorde, «è impostata da anni sullo stesso tono, incanalata come un fiume nel greto»; se qualcuno parla chiaro non parla chiaro, «espone un assunto in maniera troppo esplicita»; se si sa qualcosa non si sa qualcosa, «si viene recentemente a conoscenza»; quando si va a mangiare del pesce non si va a mangiare del pesce, «ci si concede un pranzo al ristorante sul mare»; quando uno è stanco non è stanco, «la spossatezza lo svuota di qualsiasi volontà»; se ci sono dei benestanti non sono benestanti «conducono un’agiata vita borghese»; se si guarda che ore sono non si guarda che ore sono, «si controlla l’orologio»; se uno è superficiale non è superficiale, «pecca di superficialità»; se qualcuno entra in metropolitana non entra in metropolitana «si posiziona sulle scale mobili che conducono alla metro A»; se qualcuno si nega non si nega, «gioca di assenza»; se a qualcuno vengono in mente delle cose quando va a letto non gli vengono in mente delle cose quando va a letto, «la notte gli pone degli indovinelli con l’assurda convinzione di spiegarseli empiricamente». Questo tentativo di tenere distanti le cose è comprensibile, se riferito alla materia, così dolorosa, trattata in Final cut, ma a leggere questo romanzo di Gallico a me è venuto in mente un saggio di Ermanno Cavazzoni che si intitola Consigli per incominciare dove Cavazzoni consiglia, a chi ha voglia di scrivere, di partire dalla interiezioni. «Parti da un bel “oh perbacco”, da cui poi ne consegue qualcosa. “Mamma mia!”, ad esempio; sentite che vita? Poi uno magari continua, e l’interiezione (quando rilegge) la cancella; può farlo, se gli sembra inutile, però intanto il discorso si è avviato ed è già come ci fosse una certa mentalità che parla, perché nelle interiezioni c’è molta più anima, sono come l’acido deossiribonucleico che costituisce il programma genetico; le idee vengono dopo, anzi le idee le si scopre alla fine, quando si è scritto tutto, le idee sono delle conseguenze». Ecco, io ho l’impressione che Gallico, in questo libro, abbia fatto il contrario, abbia costruito il libro su un’idea che non so se abbia la forza per reggere, da sola, il peso di un romanzo.

[uscito ieri su Libero]