Opera numero 75

sabato 10 Gennaio 2015

Il giorno che dovevo scrivere questa rubrica ho saputo che avevano ucciso il disegnatore Georges Wolinski e altri undici persone, alcuni dei quali suoi colleghi, nella redazione del settimanale parigino Charlie Hebdo. E ho pensato che quella morte lì, per uno come Wolinski, che ti sparano per le parole che scrivi e per i disegni che disegni, è vero, come dice Learco Pignagnoli nella sua opera numero 75 («Opera numero 75. Io preferisco che non mi sparino»), è vero che, morire, sarebbe meglio di no, ma se uno deve morire, e io credo che a me toccherà, quella morte lì a me sembra una morte ammirevole, per Wolinski e per i suoi colleghi, mentre terribile mi sembra la condizione degli uccisori, di quelli che credono, avendo ucciso dodici persone, di aver fatto qualcosa di buono. E mi è venuta in mente una pagina di un libro di Anna Laura Braghetti, una brigatista che ha partecipato al rapimento di Moro e ha ucciso Vittorio Bachelet: «Ai funerali di Vittorio Bachelet – scrive la Braghetti, – la famiglia perdonò gli assassini, pregò per me. Adolfo Bachelet prese a girare per le carceri e a intrattenersi con i detenuti politici. Fu così che incontrò Francesca, e le chiese di me. Mi raccontava spesso dei figli e delle figlie dell’uomo che io ho assassinato, ma la domanda “Perché proprio mio fratello?” non era un ingombro fra noi. Da lui ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile. Quando si ammalò, trascorsi molto tempo con lui, e verso la fine mi disse: «io muoio, ma non ti lascio sola, perché per te c’è sempre mio fratello Paolo»”. Non sono andata ai funerali di Adolfo. Lo desideravo, ma in quella chiesa sarebbero potute esserci persone cui non posso imporre la mia presenza, per le quali io sono un insulto. […] Ho poi telefonato a suo fratello, che ha voluto vedermi e mi ha regalato una statua della Madonna. L’ho affidata alla mamma di Francesca Mambro, perché con lei mi sembra al sicuro. Mia madre è stata travolta da un’automobile sulle strisce pedonali mentre andava a prendere l’autobus. Era impiegata alle Poste. Aveva appena affidato me e mio fratello, usciti dall’asilo, a mio padre. Facevano in modo di non lavorare negli stessi orari perché uno di loro potesse sempre stare con noi. Fui io a girarmi indietro, mentre già trotterellavamo verso casa, e la vidi riversa sulla strada. Dissi a papà che la mamma era caduta, e mi sembrava che la sua testa fosse in una posizione strana. L’hanno portata all’ospedale ma è stato completamente inutile. Si chiamava Gina.
Recentemente sono stata invitata a parlare in Campidoglio […], e fra gli altri relatori c’era anche il figlio di Vittorio Bachelet. Ci siamo conosciuti. Mi ha parlato e mi ha detto che bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato. Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene». Ecco. Io di queste cose non me ne intendo, ma mi sembra che sarebbe una cosa memorabile, se qualcuno trovasse la forza di trattare gli attentatori di Parigi come la famiglia Bachelet ha trattato Anna Laura Braghetti.

[uscito ieri su Libero]