Nessun libro

sabato 3 Dicembre 2016

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Ogni volta che opero all’interno dello spazio della cultura, compio in primo luogo una sottomissione – anche se alla mia personale professione di fede. E tutti coloro che dicono di liberarsi da qualcosa attraverso l’arte, di vivere così il loro desiderio o di sanare il loro trauma – mentono, raccontano favole. Se volessero vivere il loro desiderio, venderebbero droghe, guadagnerebbero facendo parte della mafia – ma non scriverebbero proprio nessun libro.
Sappiamo fin troppo bene quanto costa scrivere un grosso libro. Ed è impossibile credere a una persona che parla di desiderio dopo tutto questo lavoro, quando a malapena può ancora vedere perché troppo stanco e a malapena può ancora stare seduto perché tutto il suo corpo è dolente. In altre parole: queste persone mentono spudoratamente, come si suol dire. L’unica cosa che li preoccupa è un self-styling, che però non ha niente a che fare con la liberazione e con il desiderio. Ha invece molto a che fare con l’ascesi e con la sottomissione alle regole dello scrivere. Tra l’altro, viene ignorato particolarmente spesso il fatto che ci si sottomette alle regole specialmente nel momento in cui si vuole produrre il nuovo, l’insolito, l’innovativo, l’inatteso, lo spontaneo, l’autentico o altro di simile. Ed è proprio su questo punto che son maggiormente sottomesso alle regole della tradizione, perché è esattamente ciò che la tradizione esige da me.

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, pp. 73-74]