L’arte delle particelle minime

sabato 25 Luglio 2015

Edgard Wind, Arte e anarchia

Lo studioso svizzero Heinrich Wölfflin, per esempio, forse il più grande storico d’arte della precedente generazione, era così suscettibile alla tendenza, allora dominante, del purismo estetico, che elaborò una tecnica di dissociazione altrettanto radicale, forse, di quella di Remy de Gourmont. Il suo punto di vista si riassume perfettamente nella sua famosa osservazione: che l’essenza dello stile gotico è tanto evidente in una scarpa appuntita quanto in una cattedrale. Wölfflin non era certo l’uomo a cui bisogna spiegare che una scarpa, per quanto gotica di stile, non è l’equivalente di una cattedrale, e che una teoria dello stile è in completa se non tiene conto della differenza; ma ciò che lo preoccupava era una verità molto più imbarazzante e rivoluzionaria. Egli aveva scoperto che, quanto più un oggetto è carico di emozione religiosa, tanto maggiori sono gli ostacoli che si frappongono all’apprensione puramente visiva. Le cattedrali gotiche destano visioni assai più nebulose che non le scarpe gotiche; e la causa si trova non soltanto nella loro maggiore complessità formale, ma  anche nel fatto che la loro aura di devozione ci travolge. Wölfflin ripeteva insistentemente che l’occhio deve esercitarsi su forme che non suscitino troppe distrazioni emotive. Di conseguenza, non gli bastava mai di rintracciare lo stile di un maestro nella composizione di una figura umana o di una testa. «Gli elementi essenziali dello stile» scriveva in tono di sfida «dovrebbero riconoscersi nel disegno di una semplice narice». Il suo ideale era quello che egli chiamava «una storia dell’arte delle particelle minime», che avrebbe dovuto rintracciare gli sviluppi della forma mettendo a confronto «una mano con un’altra mano, una nuvola con un’altra nuvola, un ramoscello con un altro ramoscello, e via dicendo, fino alle venature del legno».
Questo genere di disciplina è rassicurante. Una volta scesi alla curva della narice, possiamo essere ormai sicuri che stiamo studiando la forma per amore della forma, e non per amore dell’oggetto; dopo di che, possiamo risalire al viso e alla figura intera, senza timore di umane distrazioni. In questo modo, perfino una cattedrale può diventare innocua.

[Edgard Wind, Arte e anarchia, traduzione di J. Rodolfo Wilcock, Milano, Adelphi 2007 (4), pp. 41-42]