Due pezzetti

mercoledì 1 Maggio 2013

[Metto qua sotto i due testi che una donna che si chiama Marina, licenziata da un call center dopo vent’anni che ci lavorava, e io abbiamo letto sul palco del concerto del primo maggio, in Piazza San Giovanni, a Roma]

Mi chiamo Marina e sono stata per 20 anni al telefono.
Lavoravo in un call center.
Sì lo so, dei call center si è parlato tanto e pensate di sapere tutto a riguardo. Beh non è così.
Intanto non è vero che sia un lavoro per giovani neolaureati disperati, per chi non trova altro o è poco qualificato. Certo quando ho iniziato io forse era un po’ così. Io , una donna che , dopo aver cresciuto due figli, cercava di rientrare nel mondo del lavoro.
All’epoca lavoravo tantissime ore, a partita Iva. Guadagnavo un milione di lire e, vi assicuro, a casa facevano comodo. In realtà nei call center lavoravano padri e madri di famiglia che a quel lavoro dovevano tutto.
Negli anni è cambiato molto. Oggi in un call center devi saper spiegare come funziona uno smartphone, un computer, un piano tariffario, fare un certificato, un’operazione bancaria, assistere dei tecnici , biglietteria
I call center sono importanti. Pensate a quanto spesso passate per un call center.
E pensate a che differenza fa quando incontrate qualcuno cortese e preparato.
Qualcuno che il problema, ve lo risolve.
20 anni al telefono con gli italiani… è stata un’esperienza davvero interessante.
Hanno tentato di convertirmi a ogni religione.
Hanno tentato di sedurmi e ottenere appuntamenti galanti.
Mi hanno fatto dichiarazioni oscene.
Mi hanno insultato.
Mi hanno fatto addirittura il malocchio.
o ho imparato a mantenere la calma. Ho imparato il valore dell’ascolto e della pazienza. Quando dall’altro capo del telefono c’è qualcuno che urla, essere paziente è fondamentale e l’ascolto serve per capire
Cosi’ come mi serve anche nella vita di tutti i giorni.
Ho fatto questo lavoro dando il meglio e con dignita’ e non ho mai permesso a nessuno di denigrarlo
Io la pazienza l’ho persa una volta sola: quando una mattina mi hanno detto che il mio lavoro non c’era piu’ , che c’era da qualche altra parte chi lo faceva a costi piu’ bassi .
E allora ho perso la pazienza e non ho saputo nemmeno piu’ ascoltare ma solo dire a alta voce .
Io quel lavoro lo rivoglio !
Grazie di avermi ascoltato

Buongiorno, si sente? Grazie. Io mi chiamo Paolo Nori, sono di Parma, scrivo dei libri, il lavoro più simile che ho fatto al lavoro in un call center è quando mi hanno chiamato, nel 94, a lavorare tre mesi in posta, dettatura telegrammi, eran quasi tutti telegrammi di condoglianze e anche a me era un lavoro che mi piaceva moltissimo, e mi piaceva soprattutto perché sapevo che sarebbe durato tre mesi e poi dopo basta. Cioè io rispetto molto il modo di pensarla di Marina, però io mi sembra di pensarla in un modo un po’ diverso; un po’ di tempo fa, a Bologna, nella biblioteca sala borsa, nel bagno degli uomini, qualcuno aveva scritto sulla porta la traduzione di una frase che doveva essere stato una specie di manifesto dei situazionisti:
«Non lavorate mai», c’era scritto con un pennarello nero e di fianco un cerchio attraversato da una freccia piegata che doveva essere il simbolo dell’autonomia.
E sotto qualcun altro aveva scritto, sempre con un pennarello nero: «E chi ci ha mai pensato».
Ecco io, questa cosa qua, e chi ci ha mai pensato è una cosa la capisco, così come capisco un anarchico di Cremona che si lamentava degli anarchici che all’inizio del secolo scorso protestavano al grido di «Pane e lavoro», e diceva che era sufficiente chiedere Pane, «Pane e basta, dovevan gridare», secondo lui, e a pensarci anche Carlo Marx, che era uno che di lavoro se ne intendeva, aveva previsto che nella società ideale, dopo che i proletari si saranno impadroniti dei mezzi di produzione, e dopo un breve periodo di assestamento, ciascuno potrà fare quel che vuole, se uno gli piace pescare, potrà andare a pescare, se a uno gli piace lavorare, potrà andare a lavorare, se a uno gli piace dipingere, potrà andare a dipingere allora nella società ideale, se mai ci arriveremo, Marina riavrà il suo lavoro e io mi terrò il mio «E chi ci ha mai pensato?». E mi viene in mente una poesia di Nino Pedretti, che è un poeta di Santarcangelo di Romagna, e con la sua poesia finisco, e vi ringrazio anche a me di avermi ascoltato, e la poesia si intitola I nomi delle strade e fa così: I nomi delle strade. «Le strade sono
tutte di Mazzini, di Garibaldi, son dei papi,
di quelli che scrivono, che dan dei comandi, che fan la guerra.
E mai che ti capiti di vedere via di uno che faceva i berretti
via di uno che stava sotto un ciliegio via di uno che non ha fatto niente
perché andava a spasso sopra una cavalla.
E pensare che il mondo è fatto di gente come me
che mangia il radicchio alla finestra
contenta di stare, d’estate, a piedi nudi». Ecco, state bene.