Delle cose che gli fan fare bella figura

giovedì 1 Marzo 2018

Matteo Renzi. Ho scritto solo questo nome: Matteo Renzi, e ho già pensato: “Che due maroni”. Uno potrebbe dire «Sei prevenuto», «No – potrei rispondere io, – non sono io, che sono prevenuto, è lui, che è Matteo Renzi». Ma cosa vuol dire, essere Matteo Renzi? Claudio Giunta, in un libro uscito nel 2015 per il Mulino e intitolato, appunto, #esserematteorenzi, prova a definire il fastidio prodotto dalla renzità: «La gran parte del fastidio che gli intellettuali provano nei confronti di Renzi – scrive Giunta – è legata non alle cose che dice, che sono spesso sensate, ma, oltre alla sua faccia, alle palpebre semichiuse sugli occhi che gli danno quell’aria falsamente imbambolata», al suo «modo sguaiato di usare il linguaggio. Un mio amico snob ha avuto il coraggio di formalizzare la cosa, scherzando ma neanche troppo: “Questo è uno che dice Ci metto la faccia! È uno che dice che quando il tal dei tali parla di Firenze deve Sciacquarsi la bocca! Lo so che è assurdo, ma quando in treno sento la voce dell’altoparlante che dice Concediti una pausa di gusto! io penso a Matteo Renzi. Quando il cameriere al bar dice bollicine invece di spumante, a me viene in mente la faccia di Matteo Renzi… Poco dopo che Renzi è diventato presidente del Consiglio, Trenitalia ha sostituito l’annuncio del pranzo: adesso urlano Prova la convenienza del menù sfizioso. E io per un pezzo sono stato lì a riflettere che certamente le due cose erano collegate, che c’era una regia occulta dietro l’ingresso di sfizioso nel lessico del Frecciarossa…”». Il fatto che le cose che Renzi dice siano spesso sensate, è un’opinione di Giunta che può essere anche condivisibile: quando Renzi dice «Se perdo il referendum del 4 dicembre del 2016, mi ritiro dalla politica», dice una cosa sensata, seria, che 19 milioni 419 mila 507 persone prendono sul serio, votando No. Dopo, poi, è andata a finire come è andata a finire e Renzi è ancora in mezzo ai piedi a inventarsi delle cose che gli fanno fare bella figura. Per esempio, quando era presidente del consiglio, Renzi aveva detto «Il cuore continua a battere forte, a domandarsi come questa bellezza di cui noi parliamo può salvare il mondo, avrebbe detto il poeta, un grande poeta come Dostoevskij», e io ho mi ricordo che avevo pensato che Dostoevskij, un po’ di cose ne avevo lette, di Dostoevskij, ma di poesie, di Dostoevskij, non ne avevo mati lette, si vede che mi eran sfuggite.
E, sempre su Dostoevskij, e sempre sulla bellezza che salverà il mondo, Matteo Renzi, prima di diventare presidente del consiglio, nel 2012, in un libro che si chiama Stil novo, e che Giunta dice che è come il Mein Kampf di Renzi, in Stil Novo, nel 2012, Renzi dice che Fëdor Dostoevskij, il poeta, aveva scritto L’Idiota a Firenze, e che la celebre frase «La bellezza salverà il mondo» a Dostoevskij gli era venuta in mente quando abitava a Firenze.
E qualche anno dopo, quando avevo preso il libro Lettere sulla creatività, a cura di Gianlorenzo Pacini, che era una scelta delle lettere di Dostoevskij che trattavano della scrittura, ero capitato su una lettera del gennaio del 1869 che Dostoveskij scrive da Firenze e che comincia così: «È assolutamente necessario che io torni in Russia, qui sto perdendo perfino la possibilità di scrivere».
Che strano.
Nel libro di Renzi c’era scritto che se fai un giro a Firenze, e arrivi in piazza Pitti «una targa richiama l’attenzione, all’altezza del numero civico 22. È la testimonianza che in questa casa Fëdor Dostoevskij ha scritto L’idiota, uno dei suoi capolavori».
E poi continuava, Renzi, dicendo che gli piaceva pensare che l’idea che «la bellezza salverà il mondo», che è un’idea del protagonista dell’Idiota, il principe Myškin, a Renzi piaceva pensare che questa idea fosse venuta a Dostoevskij grazie a Firenze, «che Firenze, in qualche modo», potesse «avergli ispirato quella frase sul valore salvifico del bello», scriveva Renzi e io, allora, nel 2012, devo dire che ci avevo creduto, cioè ero stato proprio suggestionato da questa idea suggestiva esposta nel capitolo «Michelangelo e il servizio pubblico» del libro di Matteo Renzi Stil novo, solo che poi, dopo aver trovato quella frase così antipatica di Dostoevskij «È assolutamente necessario che io torni in Russia, qui sto perdendo perfino la possibilità di scrivere», ancor più antipatica se consideriamo che è stata scritta in un posto così bello come Firenze, dopo aver trovato questa frase ero andato a informarmi e avevo scoperto che L’idiota, Dostoevskij aveva cominciato a scriverlo in Russia alla fine del 1866, l’aveva continuato nel 1867 a Ginevra, a Vevey e a Milano e l’aveva finito a Firenze (dove era arrivato sul finire del ‘68) nel gennaio del 1869, quindi a Firenze Dostoevskij aveva scritto l’ultima parte del romanzo, quella più cupa, più disperata, quella del delitto, della ricaduta, quella che prende meno luce dall’idea, bellissima, che la bellezza salverà il mondo, proprio il contrario di quello che avevo capito leggendo il libro di Renzi, si vede che non ero stato attento.

[Uscito ieri sulla Verità]