Dadaism

domenica 15 Febbraio 2015

L’altro giorno ero a Milano a un festival che si chiama Writers, che è un festival di letteratura il cui titolo dipende dal fatto che writers in inglese significa scrittori, che noi certe cose preferiamo dirle in inglese, come le letture, a me piace molto far delle letture, cioè leggere ad alta voce di fronte a un pubblico, che è una pratica oggi anche abbastanza diffusa che però difficilmente la gente le chiaman letture, le chiamano «reading», che significa, appunto, letture, e l’altro giorno a Milano ho fatto una lettura, ho letto Le memorie di un pazzo, di Gogol’, che poi, non c’entra molto, ma quella notte ho ricevuto una mail che diceva che a Santa Margherita ligure, per San Valentino, hanno organizzato una manifestazione che han chiamato «Santa Love Tour», dove hanno allestito «quattro set» «nelle quattro location più suggestive di Santa Margherita», e che la cosa comincia con i partecipanti che posson ritirare una pendrive non ho capito per fare che cosa, perché non so benissimo cosa sia, una pendrive, e poi possono assistere a uno spettacolo che si chiama «Crostatina Stand Up», ed è seguito da un dj set di musiche romantiche che è il preludio a un flash mob che a sua volta precede la manifestazione finale che si chiama «Happy Valentine’s day in Santa», che non ho capito bene neanche quella ma credo sia l’occasione per farsi un selfie, che sarebbe un autoscatto, che suona così male, autoscatto, ha in sé qualcosa di vagamente pornografico invece in Santa Love Tour di pornografico non c’è niente, «è un format che spero possa diventare un appuntamento fisso», sembra abbia detto il sindaco di Santa Margherita (grazie a Paolo Della Sala per avermi girato l’articolo di Tigullio News da cui ho tratto queste interessantissime informazioni), ma non volevo dir quello, volevo dire che a Milano, l’altro giorno, dopo che ho letto Le memorie di un pazzo di Gogol’, ho raccontato come è difficile tradurre dal russo, che è prima di tutto una lingua parlata e poi una lingua scritta, all’italiano, che, per la maggior parte degli italiani, è stata, prima di tutto, una lingua scritta e poi una lingua parlata, e questa situazione paradossale dell’italiano, che è la situazione in cui si è trovata mia nonna, la cui lingua madre non era l’italiano ma il dialetto di Basilicanova, un paese dodici chilometri a sud di Parma, questa situazione in cui si sono trovati mia nonna e la maggior parte dei suo coetanei è finita solo negli ultimi decenni, e che però a complicare le cose, oggi, per i traduttori, ci si mettono quelli che lavorano nell’editoria, avrei voluto dire, che, delle volte, nelle traduzioni, preferiscono delle soluzioni che rimandano alla lingua scritta, più che alla lingua parlata, solo che mentre stavo per dire «ci si mettono» ho pensato che anch’io, sono uno che lavora nell’editoria, allora mi è venuto da dire «Ci ci mettiamo», solo che poi, mi sembrava così strano, «Ci ci mettiamo?», ho chiesto ai presenti, «Come si dice?», gli ho chiesto, e mi sembra che nessuno sapesse come si dice, allora ho pensato «Va bene: ci ci mettiamo», che mi piace moltissimo e mi ha fatto pensare a quel che, dell’italiano, diceva il poeta russo Mandel’štam, che è «la più dadaistica delle lingue romanze», e, dopo la Divina Commedia di Dante, «la più dadaistica al mondo» («The more dadaistic in the world», direbbero forse a Santa Margherita Ligure).

[uscito ieri su Libero]