Cosa c’entra Donatella Versace

domenica 20 Aprile 2014

donna tartt, il cardellino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il romanzo di Donna Tartt Il cardellino, appena uscito in Italia per Rizzoli, mi è sembrato un romanzo stranissimo. Si tratta del racconto, fatto da un orfano, delle misteriose circostanze in cui è diventato orfano, a causa di un misterioso incidente nel corso del quale un misterioso handicappato, che accompagnava una misteriosa ragazza, gli consegna un misterioso anello e lo esorta a impossessarsi di un misterioso quadro e a recarsi in una misteriosa bottega dalla quale avrà poi origine tutta una lunga e misteriosa vicenda che costituisce, in un certo senso, il romanzo, e che potrebbe essere descritta, molto approssimativamente e sbrigativamente, come un domino le cui tessere sono costituite da questi misteri; un mistero di solito nasce in un capitolo e si risolve nel capitolo successivo dando origine a un altro mistero e tutti questi misteri sono come contenuti nel mistero dei misteri che è: «Lo scopriranno?», o meglio, visto che il racconto è in prima persona, «Mi scopriranno?»; e se Mi scopriranno? fosse il titolo del romanzo, mi sembra sarebbe un titolo più centrato perché il titolo vero e proprio, Il cardellino, che è il titolo di un quadro di un allievo di Rembrandt, Fabritius, quadro che, per combinazione, è in questo periodo in Italia in mostra a Bologna a palazzo Fava insieme alla Ragazza con l’orecchino di perla, di Vermeer, il titolo vero e proprio, dicevo, non ha molto a che fare con la sostanza del romanzo, cioè ci ha a che fare perché il misterioso quadro del quale il protagonista si impossessa è proprio Il cardellino, ma se, invece del Cardellino il protagonista si impossessasse, non so, della Donna con ermellino di Leonardo, o del Quadrato nero di Malevič basterebbe cambiare il titolo e una mezza dozzina delle 892 pagine che compongono il romanzo e non ci sarebbero problemi di struttura o di coerenza.
Ma la cosa che mi sembra stranissima, del romanzo della Tartt è in un certo senso la sua normalità, la sua aderenza al genere nel quale si iscrive.


Quando io penso al romanzo, al romanzo per antonomasia, mi viene in mente Guerra e pace, di Tolstoj, che per me è il romanzo più romanzo che ci sia e son rimasto interdetto quando ho saputo che quando è uscito, nel 1865, la principale critica che era stata fatta a Tolstoj era che non aveva scritto un romanzo ma una cosa che non si capiva cos’era, perché si era permesso di mischiare personaggi veri, come Napoleone o Kutuzov, con personaggi inventati come Pierre Bezuchov o il principe Andrej. Ecco, i romanzi che oggi per noi sono i veri romanzi, all’epoca, quando uscirono, erano dei romanzi talmente strani che non venivano neanche considerati dei romanzi, infrangevano il canone in vigore, se così si può dire, creandone uno nuovo che, nel caso di Guerra e pace, sopravvive ancora oggi; in questo senso, mi sembra, si capisce l’affermazione di Balzac che un romanzo debba essere «una cosa inaudita». Ecco, il libro di Donna Tartt a me non sembra tanto una cosa inaudita, mi sembra romanzo dell’ottocento, fin dalla scelta di fare, del protagonista, un orfano, come molti protagonisti di romanzi dell’ottocento (Oliver Twist e David Copperfield di Dickens, per esempio, o Tom Sawyer di Marc Twain, o Kim di Kipling, o Renzo Tramaglino, di Manzoni, o Pierre Bezuchov di Tolstoj o, anche, Tarzan, Mowgli, Topolino e Paperino, che non sono dell’ottocento ma dei primi del novecento e, a parte Tarzan, non sono protagonisti di romanzi ma sono orfani anche loro). E quando, nel Cardellino, dentro questa macchina ottocentesca molto accurata, dentro questo bel meccanismo imitativo che ci rimanda a un’epoca che precede l’elettrificazione del globo terrestre si trovano riferimenti, non so, a Donatella Versace, o alla Pixar, o a Lady Gaga, o all’iPhone, si ha come l’impressione di un anacronismo, di qualcosa che non torna, come se Donatella Versace, o Lady Gaga fossero piombate nei Miserabili, di Victor Hugo, che è uno scrittore che mi è diventato molto simpatico quando ho scoperto che, sul finire della sua vita, vedeva con piacere la proposta, avanzata da un suo estimatore, di ribattezzare Parigi Victorhugopoli.

[Uscito ieri su Libero]