Ancora

martedì 29 Ottobre 2013

manganelli, improvvisi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho davanti agli occhi lo stemma della Repubblica Italiana: la stella a cinque punte, una ruota dentata, tutt’attorno una corona di verdure varie – che poi saprò essere quercia e ulivo – e la scritta Repubblica Italiana su di un nastro, o meglio uno di quei foglietti fragili e sottili che adornavano di sentimenti i cioccolatini d’una volta.
Esiterei a definirlo bello o interessante. So che ha quarant’anni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giuliano Amato, ha detto: «Ci siamo chiesti se gli italiani si riconoscono ancora nel simbolo che combina insieme la ruota dentata, la stella a cinque punte, e i rami di quercia e di ulivo» (è così che ho appreso di che era fatta quella esornativa verdura). È un’affermazione, questa di Giuliano Amato, che merita un breve esame.
In primis, la domanda, se gli italiani «si riconoscano ancora in quel simbolo». Credo che il numero di emigranti pronti a scoppiare in lacrime clamorose scorgendo quella ruota dentata sia del tutto irrilevante. Credo che poche persone, sperabilmente innocue, si siano «riconosciute» in quel simbolo: la contemplazione di quel simbolo potrebbe entrare in un test psicanalitico non privo di interesse. Ma c’è dell’altro: penso a quell’«ancora» della dichiarazione di Giuliano Amato. Evidentemente, egli pensa che il simbolo sia invecchiato. Ma i simboli non invecchiano. Non hanno età. Ad ogni scoccar di secoli sono più solidi, imperativi, fascinosi. Le aquile di Roma, la civetta di Atene. I veri simboli uno li vede anche in sogno. Chi ha mai sognato quella ruota dentata? In verità quello non era un simbolo, era un timbro.
I timbri invecchiano. In Italia, nascono vecchi.

[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Leonardo, Milano 1989, p. 147]