7 luglio

lunedì 2 Agosto 2010

zavattini

Sono dalle parti dove il sette luglio
hanno ammazzato quei cittadini.
La notte dopo venendo da Roma
andai in piazza a vedere.
Saranno state le quattro.
Sotto i portici vuoti
ai piedi di un pilastro
dei nastri tricolori
mucchietti di fiori
nei punti in cui a un tratto un grido di dolore
forse neppure quello
cambiò in morti cinque arzàn testa quadra.
Andavano anche loro in bicicletta.
Da noi si è vecchi solo il giorno
che non si può alzare la gamba sopra il sellino.
Tre guardie parlottavano vicino alla Banca d’Italia.
Era con me il padrone del tassì.
Nello spostarci da Farioli a Reverberi
a Ovidio a Tondelli a Serri Marino
due o tre parole in dialetto
i passi sul ghiaietto
quando dall’asfalto entravamo nel Giardino Pubblico
sono stati i rumori dell’ora.
Venne l’alba con le rondini nere.
Mi pareva che il cuore sapesse ormai
per chi doveva battere
il resto della vita.

[Cesare Zavattini, A vrès, Suzzara, Bottazzi 1986, pp. 103-104 (l’ho letta oggi, primo agosto, non l’avevo mai vista, o se l’avevo vista non l’avevo capita)]