Zioboja

mercoledì 27 Giugno 2012

[Sta per uscire, per Guanda, un’antologia sulla follia a cura di Marco Vichi dove c’è anche un mio racconto che io credevo si intitolasse Zioboja e invece, ho visto, si intitola Chissà se possiamo e comincia, più o meno, così]

Chissa` perche ́ avevo accettato. Avevo accettato così, m’avevan preso di sorpresa, mi avevan chiesto di scriver qualcosa, non sapevo cosa rispondere, non ho risposto niente, poi mi son dimen- ticato e dopo un po’, tipo dopo una settimana, me l’han richiesto.
Ma allora scrivi? mi han chiesto, e io mi sentivo in colpa che non gli avevo risposto, Certo, gli ho detto, sono contento, grazie che mi avete invitato, scrivo volentieri, gli ho detto, e ero anche sincero, mi sembra, era tipo quattro mesi prima, pero` poi dopo, adesso, per dire, quattro mesi dopo, cosa vuoi che scriva?
Non ne so niente.
Mi avevano scritto anche il giorno prima, avevano scritto loro, per posta, A che punto sei? mi avevano chiesto.
Sono avanti. Non avevo neanche cominciato. No perche ́ non si trattava di… cioe` , non e` che dovevo scrivere un pensiero, una mezza cartella, una paginetta, no no. Quindici pagine.
Cioe`, quindici pagine di niente, a me sembrava che fossero troppe. Che non e` che, cioe` non ci mettevo mica niente, non ero mica io, io le scrivevo, cosa vuoi che ci mettessi, non ci mettevo niente, il problema non ero mica io che le dovevo scrivere, no, il problema eran quelli che le dovevan leggere; cioe` un po’ anche per me, ma soprattutto per loro. Pero` un po’ anche per me, eh?
Che io, se fosse stato per me, sarei andato a letto. Mi veniva su un sonno, quei giorni lì, al pomeriggio. Solo che andare a letto, al pomeriggio, se non dovevi far niente era bellissimo, cioe`, adesso, bellissimo, era bello, a me piaceva, pero` se dovevi fare qualcosa, andare a letto non te la godevi mica tanto.
Eri sempre lì a pensare a quelle quindici pagine che dovevi scrivere. Non era bellissimo. E neanche bello.
Almeno dovessi parlare di niente, parlare di niente sarei capace, non ne so niente, mi inviti a nozze, a par-lare di niente, pensavo.
C’era un mio amico, si chiamava Franco, lo sai come mi chiamava, a me? A me. Sai come mi chiamava? Il nullologo. Perche ́ diceva sempre che io, diceva che a me mi chiamavano dappertutto a parlare di tutto, e io cominciavo sempre dicendo Non ne so niente.
Che era vero, ma cosa dovevo dire? Se non ne sapevo niente, dicevo: Non ne so niente; cioe` se ne sapevo qualcosa dicevo: Ne so qualcosa, ma visto che non ne sapevo niente, cosa vuoi che dicessi? Dicevo: Non ne so niente. Ti sembra sbagliato? A me mi sembra giusto.
Ho anche organizzato un convegno, sul niente. Mica da solo, con degli altri. O meglio, non proprio sul niente, sul nulla. Convegno sul nulla, si chiama. Vien della gente da tutt’Italia, a parlare. Io, non dico niente. Io presento, introduco, l’abbiam fatto a Ravenna, e` venuto bene, era la prima volta, non l’avevamo mai fatto, e` stato un numero zero, per così dire, adesso lo rifacciamo a Bologna, vediam come viene. Con anche dei biologi, degli astronomi, con anche una, come si dice, una cosa lì, come si dice, una dottoressa delle donne, una gine- cologa. Eh. Lei parla della menopausa. No, interessante. Cioe` lì a Ravenna son state otto ore, tra tutto, e` stato molto bello, secondo me.
C’era anche un guardalinee, che pero` non voleva che si dicesse. Per la privacy.
Lui e` venuto a parlare degli zero a zero nelle partite di calcio. Pero` non dovevamo dire che era un guardalinee. Per la privacy. Perche ́ loro, quelli dell’associazione dei guardalinee, preferiscono di no. Che i guardalinee, cioe`, son quelli che danno i fuorigioco, c’e` della gente che dopo si arrabbia, meglio che siano in incognito. Cioe` non e` bene che vadano in giro a dire Io faccio il guardalinee, io faccio il guardalinee. Come gli arbitri. Cioe` un po’ meno, ma come loro. Che dev’essere strano. Che magari loro sono appassionati, del loro mestiere di guardalinee, però non possono dirlo. Mi sembra così strano.