Ytali

sabato 30 Luglio 2011

L’Italia è chiamata così in tutte le lingue. La si appellava in questo modo perfino quando erano gli italiani a non farlo, simili ai galeotti incontrati da Gramsci che si dicevano di nazione napoletana o lombarda. Era quello che accadeva nelle carceri della penisola mentre nel resto d’Europa l’Italia era chiamata Italia. È difficile trovare un paese che abbia una denominazione così caratterizzata. La parola «Italia», dunque, è stata un elemento che ci ha fortemente unificato: assai più della parola «italiani».
Si è soliti considerare Dante il padre della lingua. In realtà potremmo sostenere il contrario: cioè che egli fu il “figlio della lingua”, il figlio di una scelta cinquecentesca per l’esattezza. Tra il XV e il XVI secolo prima dei burocrati e poi alcuni letterati decisero che la maniera più semplice per abbandonare il latino e accostarsi ai dialetti fosse utilizzare la lingua scritta a Firenze nel Trecento: quella di Dante, Petrarca e Boccaccio. Quindi, Dante è il figlio della scelta di quella lingua che comincia a chiamarsi «italiano» intorno al 1525. Destinato a diventare il canone per la formazione dell’idioma cinquecentesco, Dante in imbarazzo quando deve chiamare gli abitanti dell’Italia che – al contrario – identifica perfettamente. Come, del resto, era perfettamente identificata dai geografi medioevali e dagli arabi.
L’autore della Commedia è incerto su come definire coloro che abitano il paese – lungo e sottile – che si protende al centro del Mediterraneo. Li chiama «italii», «ytali», «latini», ostinandosi ad appellare un popolo privo di nome. «Italiani» verranno chiamati a partire dal Trecento.

[Tullio De Mauro, Lingua, identità nazionale e scuola pubblica, in Il calendario del popolo 752, Roma, Teti 2011, p. 8]