Vita romanzata dello scrittore Isaac Babel’
Il libro di Giovanni Maccari Gli occhiali sul naso (Vita romanzata dello scrittore Isaac Babel’ e dei suoi anni tempestosi), uscito recentemente per Sellerio, è un libro che conoscevo ancora prima che uscisse, perché i primi capitoli erano stati pubblicati, nel marzo del 2009, su una rivista alla quale collaboravo, L’accalappiacani (Settemestrale di letteratura comparata al nulla), e quando poi aveva finito di scriverlo, poco meno di un anno e mezzo fa, Giovanni me l’aveva mandato e io l’avevo letto.
Potrà sembrare strana la confidenza che ostento nei confronti di Maccari, lo chiamo Giovanni, forse non si usa, nelle recensioni, ma, in un certo senso, Giovanni è un mio amico, e mi ricordo di una volta, presentavo in pubblico un altro mio amico, Ugo Cornia, e mi è scappato di chiamarlo Cornia, e Ugo si è messo, ma per dei mesi, a chiamarmi Nori, anche in privato, allora portate pazienza, non che sia stata una cosa insopportabile, ma preferisco non succeda più.
Adesso, è difficile parlare del libo di un mio amico, e non l’avrei probabilmente fatto se non me l’avessero chiesto, non la redazione de Gli altri, la redazione di Libero, un paio di mesi fa, quando il libro era appena uscito, senza sapere che Giovanni era un mio amico, e io me n’ero rallegrato, e l’avevo detto a Giovanni che anche lui se n’era rallegrato (rallegrarsi è un verbo che io non uso mai, l’ho già usato due volte in poche righe), solo che poi, per Libero è andata a finire che non scrivo più ma ormai avevo idea di scriverne, avevo detto a Giovanni che ne avrei scritto, ci eravamo così tanto rallegrati, ho proposto la cosa a Gli altri e loro han detto che andava bene e allora eccoci qua.
Di questo libro qua, io direi che è una specie di biografia romanzata dello scrittore Isaac Babel’, se non fosse che Giovanni, nell’avvertenza che c’è a pagina 13, dice che questo libro non si può considerare una biografia di Babel’, né una biografia romanzata, “perché in quel caso sarebbero troppe le omissioni e insopportabili le inesattezza”. Lo si può prendere, suggerisce Giovanni, “come una storia che per l’appunto è vera ma che potrebbe essere inventata, una specie di leggenda, il cui sfondo è il Novecento”.
Adesso, effettivamente, la vicenda di Babel’, al di là delle semplificazioni, a pensarci, in questo libro, è solo una specie di appoggio, come il filo intorno al quale si arrotola la vite, che non è importante come la vite, ma che se non c’è quello raccoglier l’uva diventa poi difficile.
E mi vien da pensare che in fondo, le biografie, o biografie romanzate, o quasi biografie, alla fine poi forse son tutte così, in un certo senso, costruiscono un ordine che permette a noi, lettori, di raccoglier l’uva.
L’ordine di Maccari (va mo là) è un ordine vago, nebbioso, fondato sui si dice, spaventoso, nel senso che un po’ fa venir paura, e è un ordine che ogni tanto può dare anche fastidio, col quale non per forza si è d’accordo, io per esempio, quando Giovanni si sofferma, per due volte, sulla scarsa istruzione dei giudici di Babel’, e sembra quasi alluda al fatto che loro non potevano capire quel che diceva perchè non avevano studiato, allora io ho pensato che sarebbe bello, che quelli che studiano capissero le cose, ma che, nella mia esperienza, molta gente che non ha studiato, che non è istruita, capisce molto più di me che ho studiato tanto, e che il problema, forse, non era aver studiato o non aver studiato, era una società dover il pensarla diversamente dallo stato, rispetto a certe cose, era un delitto, e, a quei tempi (Babel’ è stato ucciso nel 1940), era così, mi sembra, per la maggior parte della popolazione della sfera terrestre (oltre che in Russia, mi vien da dire che era così in Italia, in Germania, in Giappone, in Cina e chissà in quanti altri stati ancora).
E mi è venuto da pensare che quel filo lo si poteva tirar meglio, ma è un dettaglio, e sono rari, questi casi, nel libro di Giovanni, e ha prevalso, nella mia lettura, una specie di incanto per il tono rassegnato, come se Giovanni ci dicesse, con la nebbia che tira su, che le cose, va be’, forse non sono andate proprio così, non lo sappiamo, però van così sempre, e non c’è niente da fare, non c’è niente da mettere a posto, l’uva si perde, e si perde anche il mosto.
E, dopo la prima lettura di questo libro, io mi sono andato a riprendere L’armata a cavallo, dove, come scrive Giovanni, c’è un segretario che “non redime né plasma e tanto meno piega le masse con la necessità della rivoluzione; il segretario anzi non è niente, come non sono niente i commissari, il maresciallo Budionny e addirittura Stalin non è quasi niente. Tutto quello che c’è è questa forza «spontanea e imprevedibile» che si è messa in movimento, che anche se Stalin per ipotesi volesse vietarglielo, in ogni caso farebbe la rivoluzione”.
E dopo la seconda lettura mi sono andato a cercare il volume Racconti di Odessa, pubblicato tanti anni fa dagli Editori riunititi, dove ce n’è uno, ambientato non a Odessa ma a Parigi che si intitola Via Dante e che comincia così:
“Dalle cinque alle sette il nostro albergo, l’Hôtel Danton, si librava nell’aria per i gemiti d’amore. Nelle camere operavano dei maestri. Giunto in Francia con la convinzione che il suo popolo si fosse infiacchito, mi stupii non poco di simili fatiche. Da noi nessuno porta la donna a una simile incandescenza, neppure lontanamente. Il mio vicino Jean Bienal una volta mi disse:
– Mon vieux, nei mille anni della nostra storia noi abbiamo creato la donna, la buona cucina e i romanzi… questo nessuno può negarcelo…
Per quanto riguarda la conoscenza della Francia, Jean Bienal, commerciante di automobili usate, fece per me più dei libri che avevo letto e delle città che avevo visto. Appena fatta conoscenza, mi interrogò sul mio ristorante, sul caffè, sulla casa di tolleranza che frequentavo. La risposta lo inorridì.
– On va refaire vôtre vie…
E la rifacemmo.”
E ho pensato che è proprio un peccato, che questo libro, nella traduzione (molto bella, mi sembra) di Pietro Zveteremich, sia oggi esaurito e non ristampato.
[Uscito venerdì scorso su Gli altri]