Vincere sempre

giovedì 12 Marzo 2015

carrère il regno

Nella bandella del libro di Emmanuel Carrère Il regno, appena pubblicato in italiano da Adelphi (nella traduzione di Francesco Bergamasco), c’è scritto che Il regno è «un’inchiesta su quella piccola setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo», e che in questa inchiesta Carrère «fa rivivere davanti ai nostri occhi gli uomini e gli eventi del I secolo dopo Cristo quasi come fossero a noi contemporanei». E effettivamente, a pagina 130 si legge che la politica dei romani «da un capo all’altro dell’impero» ricorda «quel che succede oggi con McDonald’s, Coca-Cola, gli ipermercati, i negozi Apple». Oppure, a p. 248, che «Nella realtà storica Gesù era una specie di Che Guevara». O, ancora, a pagina 386, che «Gesù e Giovanni sono come Robert De Niro e James Wood in C’era una volta in America». O, infine, ma si potrebbe continuare e andare avanti molto, a pagina 278, che in materia di fede «la neutralità non esiste. È come quando uno dice di essere apolitico: significa soltanto che è di destra». Questa tecnica di trovare riferimenti contemporanei ai protagonisti della sua indagine, Carrère la applica anche a Ulisse e Calipso; sarebbe, Calipso, «il prototipo della bionda, quella che ogni uomo vorrebbe farsi ma non necessariamente sposare, quella che apre il gas o ingoia un tubetto di sonniferi la notte di Capodanno mentre l’amante festeggia in famiglia». Per trattenere Ulisse Calipso gli offre l’eternità. «Se Ulisse resta con lei, non morirà mai. Non invecchierà mai. Loro due non si ammaleranno mai. Conserveranno per sempre lei il corpo favoloso di una giovane donna, lui quello robusto di un uomo di quarant’anni all’apice del suo fascino». Ma Ulisse vuol tornare a casa. «A casa? – gli chiede Calipso (secondo Carrère). – Sai cosa ti aspetta a casa? Una donna che ormai non è più una ragazzina, ha smagliature e cellulite, e di certo non migliorerà con l’arrivo della menopausa. Un figlio che tu ricordi come un ragazzino fantastico ma che durante la tua assenza è diventato un adolescente problematico, e ha buone possibilità di diventare tossico, islamista, obeso, psicotico, tutto ciò che i padri temono per i loro figli». Ma, secondo me, la cosa che rende Il Regno un libro contemporaneo è il fatto che il vero protagonista di questa indagine di Carrère è Carrère, che già nei libri precedenti (di Carrère) entrava sempre, coi suoi difetti, le sue debolezze, le sue insicurezze, e che nel Regno entra con un tono tutto diverso. «Penso di avere fatto un lavoro onesto – scrive Carrère a p. 225 – e di non imbrogliare il lettore sul grado di attendibilità del mio racconto». E a p. 278 si dice «Compiaciuto, nel vedermi al tempo stesso come un uomo serio, tranquillo, impegnato a commentare San Luca in una località sulla costa della Turchia fuori stagione e come un vip che dieci giorni dopo avrebbe salito al braccio di Hélène i gradini del festival di Cannes nel ruolo più lusinghiero possibile» (era giurato al festival di Cannes). E a p. 292 ci informa di «essere nato nella parte giusta della società, dotato di un talento che mi ha permesso di vivere più o meno la vita che volevo». E, a p. 293, si congratula con se stesso «per essere diventato, contro ogni previsione, un uomo felice. Mi meraviglio di ciò che ho già realizzato, m’immagino ciò che ancora realizzerò, mi ripeto che sono sulla buona strada. Vinco sempre». E a p. 294 dice che «Questo libro che sto scrivendo sul Vangelo è uno dei miei molti beni. La sua ampiezza mi fa sentire ricco, me lo figuro come il mio capolavoro, sogno per lui un successo mondiale». E a p. 264 ci dice che la sua bontà (di Carrère) non è innata, ma deriva da uno sforzo di volontà «e per questo ritengo di essere ancora più meritevole». E a p. 420 scrive: «Stavo terminando questo libro, e non posso negare che ne ero piuttosto soddisfatto. Mi dicevo: scrivendolo ho imparato molte cose, ne imparerà molte anche il lettore, e queste cose lo faranno riflettere. Ho fatto un buon lavoro». E, a p. 428 di ci informa che «Questo libro l’ho scritto portandomi dietro il peso di ciò che sono. Un uomo intelligente, ricco, con una posizione». Ecco. Io, devo dire, ho fatto un po’ fatica, a finirlo.

[Uscito ieri su Libero]