Vergogna di niente

domenica 24 Aprile 2022

Nel 1922 Zamjatin aveva smesso di essere un semplice scrittore e era diventato una macchina del tempo. Credeva di scrivere una feroce critica del sistema sovietico in costruzione. Anche i suoi censori l’avevano letta così, ragione per la quale ne avevano vietata la pubblicazione. Ma in realtà Zamjatin non si rivolgeva a loro. Senza rendersene contro, aveva scavalcato un secolo per rivolgersi direttamente alla nostra epoca. Noi dipingeva una società governata dalla logica, dove tutto era convertito in cifre, dove la vita di ogni individuo era regolata nei minimi dettagli per garantire la massima efficacia. Una dittatura implacabile ma confortevole che permetteva a chiunque di comporre tre sonate musicali in un’ora schiacciando semplicemente un bottone, e nella quale i rapporti tra i sessi erano regolati da un meccanismo automatico che determinava i partner più compatibili e che permetteva che si accoppiassero tra loro. Tutto era trasparente, nel mondo di Zamjatin, anche per strada, dove una membrana, decorata come un’opera d’arte, registrava i discorsi dei passanti. È poi evidente che in un posto del genere anche il voto doveva essere pubblico. «Si dice che in antichità si votasse quasi in segreto, di nascosto, come dei ladri», dichiara a un certo punto il personaggio principale, D-503. «A cosa servisse tutto questo mistero, non è mai stato stabilito esattamente (…) Noi non nascondiamo niente, non abbiamo vergogna di niente: noi celebriamo le elezioni in modo aperto, leale, in piena luce. Io vedo tutti gli altri votare per il Benefattore, tutti gli altri mi vedono votare per il Benefattore».

[Giuliano da Empoli, La mage du Kremlin, Paris, Gallimard 2022, pp. 19-20]