Verbali tutta la vita
Si sa che come niente ci si abitua alle cose più strane; eppure, mi sembra sempre un fatto dei più singolari che io mi sia quasi acclimatata in quell’ambiente sinistro, proprio del tribunale (o forse son capitata in un angolo dei più bui?), a questi continui dialoghi tra sordi, alla conclamazione ininterrotta delle bugie e delle più demenziali decisioni, ai vari e aggrovigliati metodi per soffocare lo scandalo, per insabbiare la verità, allo spettacolo dei generosi continuamente battuti dai meschini insolenti. Ed è certo soltanto ingenuità la mia, ma ormai è da troppo tempo che son dentro il labirinto giudiziario per non rendermi conto che in quei tortuosi meandri la giustizia è un lusso soltanto.
Mi sono andata abituando anche al gergo del tribunale; quello legale, fatto apposta per rendere oscura qualsiasi decisione, anche delle più semplici; quello dei verbali, particolarissimo, che anch’esso non chiama mai le cose con il loro nome, e quello del giudice presidente che, siccome ha letto verbali tutta la vita, detta al cancelliere le frasi dei testimoni tutte tradotte a modo suo, e con un tantino di eleganza in più, in confronto a come parlano i subalterni.
“Avevo l’abitudine” dice semplicemente il teste o l’imputato, ed “ero uso” traduce il giudice. “mi tornarono a dire di seguirli” diventa “un’altra volta mi rivolsero siffatto invito.” Quindi: “tornavano sempre a dirmi la stessa cosa” è “mi rivolgevano sempre il succennato discorso.” Mentre “fatto com’era ce l’avrebbe detto di certo,” viene dettato “data la sua essenza non si sarebbe astenuto dal farcene partecipi.” “In quel periodo” si trasforma in “in quel torno di tempo,” “quando” è sempre “laddove”; “misi dentro la testa” è “allora feci capolino” (anche se si tratta di un muscoloso brigadiere col testone); “mentre riponevo le carte” si trasforma in “mentre accudivo al riporre” e “per trovarlo” è tradotto “al fine del rintraccio.”
Cosa fa poi un poliziotto quando torna in questura? “Rientra nella sua sede naturale”. Quando guarda l’ora? “Compulsa l’orologio.” Quando va al gabinetto? “Si porta nel locale adibito a toilette.” Qualcuno arriva in un posto? “guadagna il locale.” Se mangia un panino? “Lo consuma.” Se mette in dubbio l’autenticità di una firma? “Non riconosce la paternità della grafia”.”Quando un infermiere tenta la prima rianimazione di un moribondo? “Esibisce un lieve massaggio”. Quando un altro crede di aver sentito l’urto di due macchine (e invece è il tonfo di un uomo che sta cadendo dalla finestra)? “Pensai a due mezzi che avesser colliso.” Quando uno non ricorda “non vale a precisare”; quando va dietro a un altro? “Si adopera per seguire”; se uno parla non fa che “comunicare alcunchè al riguardo.” Si vuol cominciare a interrogare? Allora “si dia la stura alle domande.” Mentre la minaccia “di cambiar la sede al processo” è “uscir dal naturale alvo dell’aula.”
E ora attenzione a quest’altro bel pezzo di prosa (legale): “… per un’erronea valutazione da parte dell’organo di polizia del termine di decorrenza dello stato di fermo si era determinato un ritardo nella possibilità di addivenire al perfezionamento formale del relativo provvedimento. Per questa irregolarità, vagliati i chiarimenti di polizia e avuto riguardo alle eccezionali circostanze in cui l’ufficio di polizia si era trovato a dover operare, si è ritenuto giustificato un richiamo all’ufficio stesso.” Un esempio di oscurità e giravolte varie, che cade proprio a proposito, perchè letto in aula dal giudice Biotti durante l’udienza del 18 dicembre, e tratto da un documento che anche lui affossa, insabbia e dichiara non responsabili chi aveva invece fior di pesanti responsabilità: è il procuratore generale dottor Domenico Riccomagno che, sollecitato a far conoscere l’esito della sua inchiesta, risponde finalmente insieme col ministero degli Interni, che da tempo era stato sollecitato anche lui.
Secondo il ministero degli Interni e la Procura generale di Milano la morte di Pinelli è da considerarsi un evento in cui la polizia non ebbe alcuna responsabilità, nemmeno per omessa vigilanza; e il fermo illegale è stato un semplice errore di calcolo da parte dei poliziotti. Così hanno risposto questi altissimi organi di stato, e la conclusione? Pinelli si è suicidato.
[Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Net 2004, pp. 97-99, grazie a Alberto Carozzi]