Un’intervista

sabato 5 Giugno 2010

harstad

1. Il protagonista del suo romanzo, Mattias, ha una specie di passione per quelli che arrivano secondi e, in particolare, forse perché è nato il 20 luglio del 1969, giorno dello sbarco sulla luna, per Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla luna. Ecco, una volta, uno scrittore italiano che non mi era tanto simpatico, alla domanda “Qual è stata la più grande soddisfazione della sua carriera?” ha risposto: “Quando sono arrivato secondo al premio Campiello” (il premio Campiello è un premio letterario italiano importante ma non il più importante, forse il secondo). Da quel momento lì, quello scrittore, a me è diventato simpatico. Mi verrebbe da chiederle cosa c’è di così bello, nell’arrivare secondi, se non fosse che Mattias, o lei, rispondete nel libro: «Serve una forza di volontà immensa, e fortuna, e abilità per arrivare primi. Ma serve un cuore gigantesco per essere il numero due». Allora le chiedo se la stessa cosa vale anche, e in che misura, per quelli che arrivano terzi.

Penso ci sia qualcosa di molto umano nell’arrivare secondi, nel senso di perdere rispetto al vincitore oppure essere semplicemente un po’ in ritardo. La società di oggi tende ad accentrare la nostra attenzione sui vincitori, sulle celebrità, sui numeri uno e tendiamo a dimenticarci e a sottovalutare i numeri due. Dimentichiamo anche che ci vogliono molti numeri due per aiutare qualcuno a diventre un numero uno. Sono sempre stato affascinato dai numeri due nel mondo, da quelli che fanno tutto quel duro lavoro che in parte non gli verrà mai riconosciuto. Queste sono persone perlopiù invisibili. Per un breve periodo di tempo ho lavorato come netturbino su un camion della spazzatura. Svuotavamo i cassonetti dai rifiuti urbani della gente prima che si svegliasse e mi stupii che molti di loro non si rendevano affatto conto che ci fosse qualcuno che faceva proprio quel lavoro. Prima di rendersene conto la loro spazzatura era già semplicemente sparita. Le persone con cui ho lavorato in quell’occasione sono le migliori che io abbia mai conosciuto. Erano dei gran lavoratori, avevano sogni e speranze che nessuno conosceva. Questo mi aveva molto affascinato. Io credo che ognuno di noi abbia dentro di sé allo stesso tempo sia molti numeri due che molti numeri uno. Vale a dire che alcune volte per noi è importante dare il meglio ma è allo stesso modo importante avere la consapevolezza di fare bene e di essere felici per quello che facciamo. Alcune volte è divertente essere uno scrittore e conoscere gente interessante, ma come scrittore è molto più importante per me sapere che ho fatto bene piuttosto che sia la gente a dirmi che sono stato bravo. Credo.

2. Mattias è un personaggio che io, come lettore, ho seguito subito volentieri, anche per questa mania dell’arrivare secondi, del non voler apparire, del voler essere quasi invisibili, del rifiutarsi per esempio di fare l’università, come avrebbero voluto i suoi genitori, e voler fare un mestiere semplice, come il giardiniere, e volerlo far bene, ma soprattutto, mi viene da dire, per lo sguardo particolare che ha sulle cose, per il modo in cui sta nel mondo fin dall’inizio del romanzo, quando lo troviamo, un martedì («ci sono molti più funerali il martedì che nel resto della settimana»), fermo nel giardino sul retro a guardare il cielo nel tentativo di vedere «lassù, a mille, forse tremila piedi sopra di me, la prima goccia che si forma e si stacca, molla la presa, si proiettilizza verso di me». Forse per questo, per la simpatia che mi ha ispirato Mattias, le confesso che nella seconda parte del libro, quando si scopre che Mattias non ha tutti i suoi a casa, come si dice dalle mie parti, cioè ha forse qualche problema psichiatrico, ci son rimasto male: mi è quasi sembrato che quella che a me era parsa una tecnica di sopravvivenza in un mondo demente, si rivelasse, nella seconda parte del libro, come il sintomo di una malattia mentale.

Capisco ciò che intende. Ma non sono d’accordo riguardo al fatto che il comportamento di Mattias, nell’economia del romanzo vada letta come sintomo di malattia mentale. Come la vedo io è che la sua volontà di diventare il miglior secondo, di stare sullo sfondo, sia un desiderio genuino. Non fa parte di alcun disagio mentale. Molta gente direbbe lo stesso e questo è esattamente come la penso io. Appena qualcuno mostra di non volere diventare famoso o ben conosciuto e neppure dare necessariamente il meglio di sé, pensiamo che ci sia in lui qualcosa che non va. La seconda parte del romanzo si concentra maggiormente sulle cose che Mattias attraversa mentre è sulle Isole Faroe. Qui il suo desiderio di essere il migliore secondo diventa più estremo e poi suo padre fa riferimento ai problemi mentali di Mattias risalenti a quando era più giovane. Il romanzo verte sulla questione di trovare il giusto equilibrio fra il salutare modo di stare sullo sfondo come numero due e quello insano, psicotico. E’ molto importante per me sottolineare che ciò che Mattias desidera non equivale al risultato di un problema mentale e che il padre pensa che i disagi che invece Mattias ha avuto da piccolo si stiano riproponendo nel presente. Ciò che intendo suggerire in questo romanzo introducendo questa ambiguità è che non c’è una semplice risposta, e che l’equilibrio fra quel modo di vivere il mondo così forte ed intelligente e la strada del disagio mentale può essere a volte molto labile.

3. Mattias a un certo punto dice: «Più amici metti insieme, più saranno i funerali ai quali finirai per andare». Sembra che sia proprio così, non è vero?

Sì, questo sembra essere un grande paradosso. Io stesso sono già andato a troppi funerali, ma che fare? Ogni persona che incontri finirai per perderla, se non sarà lui a perdere te per primo! Questa è la triste realtà. Ciò nonostante non possiamo fare a meno di relazionarci con gli altri. Penso che quella frase intendesse essere solo qualcosa su cui riflettere, certo non è un suggerimento a chiudersi in casa evitando di avvicinarsi agli altri. Ma per Mattias è perlopiù questo, e una parte della sua teoria sull’arrivare secondo è che se tu ti circondi di veramente poche persone subirai molte meno sofferenze. E certamente da un certo punto di vista questo è anche vero. Allo stesso tempo tuttavia penso che Mattias perda qualcosa d’altro: ricevere stimoli da gente di tutti i tipi, e quella generale sensazione di far parte della società. Prima o poi ce ne andremo comunque tutti, quindi è solo una questione di quanto a lungo tu pensi di resistere da solo.

4. La musica, al cui rapporto con la letteratura è dedicato il festival di Cremona che la ospita, e in particolare la voce, è lo strumento che Mattias usa meglio: canta benissimo, ma si rifiuta di cantare in pubblico; nel romanzo canta solo tre volte, se non sbaglio, e la seconda volta, al funerale di una donna della quale lui è stato innamorato, il suono della sua voce riempie lo spazio, vortica più volte premendo all’interno della chiesa e forza le pareti e erompe dalle porte e fa venir caldo alle persone che aspettano fuori dalla chiesa e li costringe a chiudere gli ombrelli. Sembra quasi che attraverso la musica si possa accedere a un altro spazio, come se la musica e il canto aprissero le porte di un qualche regno non euclideo. È così?

Sì è così. Ho sempre desiderato essere un cantante, ma purtroppo sono stonato come una campana. E’un peccato, perché penso che per mezzo della musica tu possa avvicinarti ad alcune particolari emozioni meglio di come potresti fare con un libro. Puoi scrivere 1200 pagine su qualcosa che può toccare le corde di molte persone, che cambierà il loro modo di vivere ma la stessa cosa può essere trasmessa con un frammento di 20 secondi di un brano musicale o di una canzone. Tutti i miei libri, nel loro modo di essere scritti, si avvicinano alla musica e al canto. Questo è il motivo per cui nei miei libri faccio così spesso riferimento alla musica. Ascolto sempre musica mentre scrivo, e di tutti i generi, ho anche creato delle lunghe ed elaborate playlist che si intonassero a parti differenti del mio progetto. Da quando ero molto piccolo suono la batteria e considero il ritmo un elemento essenziale del mio modo di scrivere. E’ inoltre una delle cose che i miei traduttori devono tenere in alta considerazione quando traducono i miei libri. Alcune volte ho anche spedito ai miei traduttori le stesse canzoni che ascoltavo mentre scrivevo un romanzo, affinché potessero ascoltare la stessa musica che ha ispirato il ritmo della mia scrittura mentre traducevano nella ricerca dello stesso ritmo da me creato. Per via di questa mia passione per la musica e per il fatto che musica e letteratura sono sempre state interconnesse non solo per me ma per chiunque, sono felicissimo di essere stato invitato al festival di musica e letteratura nella famosissima città di Cremona.

[È uscita oggi su Libero]