Un’intervista

mercoledì 18 Maggio 2011

[A Massimiliano De Ritis per Magic Bus]

Il libro si apre con il racconto della tua esperienza con il Museo d’Arte Moderna di Bologna, nel quale hai tenuto degli incontri in cui hai cercato di “spiegare” il senso dell’arte a chi non vede.
Puoi raccontarcela in breve?

Ho tenuto un incontro solo, al Mambo, che poi è consistito in un discorso, che è praticamente il pezzo intitolato Un mondo di esperti, che è il secondo dei sei pezzi che compongono il libro; cioè, per spiegarci: ho provato, su richiesta del Mambo, a raccontare il museo ai ciechi. C’erano una trentina di ciechi e poi c’erano anche un centinaio di altre persone che ci vedevano, ma il discorso era pensato per i ciechi. Questo racconto del museo ai ciechi dura un’ora, ed è stata una cosa molto bella, dal mio punto di vista, e abbastanza difficile, come fare una specie di goffo, sgraziato, sgrammaticato doppio salto mortale, e per fare un doppio salto mortale, per quanto goffo, e sgraziato, e sgrammaticato ci vuol la rincorsa, e dello spazio, e qui, in queste poche righe, da fermo, praticamente, non sono capace.

Parlando della tua passione per il jazz, descrivi nel libro la differenza che passa tra chi suona questa musica, (“e vestiti così, da persone normali, salivano sul palco e suonavano”), e chi suona rock in generale, in cui è costretto ad indossare un abito, un’uniforme da divo, che lo renda riconoscibile al suo pubblico. Per la stesura di questo libro anche tu hai provato a smettere l’abito del Paolo Nori/ scrittore, o come dici di chi “per mestiere scrive libri”?

Faccio fatica a vedermi, ma non mi sembra di aver smesso degli abiti, per scrivere questo libro. Non saprei dire, tra l’altro, quale sia l’abito del Paolo Nori scrittore, come dici tu; io credo di essere in una posizione pittosto marginale, fuori dal cono di luce dei riflettori, e questo fatto, che da un lato può essere considerato negativo, ha molti lati positivi, tra i quali, mi sembra, la possibilità di vestirsi come si vuole.

Uno dei tanti dubbi che lasci al lettore riguarda sicuramente il destino del liscio: perchè secondo te dopo anni di pizziche e tarante questo pezzo di cultura italiana non si affaccia al mainstream?

Non ho nessuna idea delle regole che determinano le mode. Può darsi che tra qualche anno succederà, magari in coda ad un film di successo o a qualcosa del genere, ma se dovessi dire che so se e quando succederà, direi che non ne ho la più pallida idea.

Una Citroen due cavalli grigia e nera, una bicicletta, un treno. Le tue storie sono sempre “in “movimento”. Il modo in cui ti sposti influenza la tua scrittura?

Non sono sicuro che le mie storie siano sempre in movimento (penso a un paio di romanzi che si svolgono quasi tutti in un appartamento). In generale, si potrebbe forse dire qualcosa sullo stupore come radice (possibile) della scrittura, e sui viaggi che producono stupore, ma sono cose, soprattutto la seconda, alla quale non ho mai pensato bene non saprei bene cosa dire.

Spulciando nei blog e leggendo i commenti alle recensioni dei tuoi libri, non sfugge che accendi contrasti vivissimi tra i lettori. C’è chi ti esalta come genio letterario e chi quasi ti insulta perché ti giudica eccessivamente autoreferenziale. Su varie questioni, più o meno ideologiche, come vivi il dibattito che si crea intorno alla tua scrittura?

Mi sembra che quando uno pubblica un libro, lo renda pubblico, vale a dire che il libro non è più suo, è di tutti, o di chi lo vuole. In questo senso, anche le reazioni di quelli ai quali i libri non piacciono, anche di quelli che si arrabbiano, sono, in fondo, il segno di un interesse e di una attenzione che sono, bene o male, lusinghieri, indipendentemente da quello che dicono. Riguardo a quello che dicono, io cerco, se riesco, di non leggerlo.

Una domanda che ti fai nel libro, e che da quanto racconti ti fanno in molti.
Come mai hai studiato russo?

La risposta è alle pagine 193, 194 e 195 di un libretto che si intitola Pubblici discorsi, pubblicato da Quodlibet nel 2008, e si può sentire, nella sua versione audio, qui.