Una verve straordinaria

mercoledì 24 Luglio 2013

Spufford, L'ultima favola russa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«È con una verve straordinaria, e con un punto di vista originalissimo, che Francis Spufford racconta la storia dell’Unione Sovietica tra gli anni Cinquanta e Sessanta», si legge nella bandella di destra dell’Ultima favola russa, di Francis Spufford (traduzione di Carlo Prosperi, Bollati Boringhieri, pagine 484, euro 19, 90), e in quarta di copertina si legge che è «impossibile pensare a un libro che comunichi altrettanto bene la quotidianità della vita in Unione Sovietica».
Ecco, probabilmente mi sbaglio, ma a me, il libro di Spufford, che è, si legge nella bandella di destra «docente al Goldsmiths College di Londra» e è stato «nominato nel 1997 giovane scrittore dell’anno dal Sunday Times», è sembrato una specie di Lettere persiane al contrario.
Che le Lettere persiane, come si sa, sono un romanzo epistolare di Montesquieu in un cui Montesquieu fa finta di essere un persiano nella Francia di fine settecento che scrive a un suo corrispondente persiano e gli descrive la vita dei francesi, per esempio gli racconta che i francesi di fine settecento (cito a memoria) hanno un’abitudine stranissima, che ogni tanto tirano fuori dei rettangoli di stoffa, che tengono nascosti dentro i vestiti, e li avvicinano al naso proprio nel momento in cui dal naso sta per uscire un materiale segreto, di colore indefinito, tra il giallo e il verde e il marrone, evidentemente molto prezioso perché i francesi, scrive il finto persiano al suo finto amico persiano, lo nascondono molto velocemente e furtivamente dentro il rettangolo di stoffa che poi, altrettanto velocemente e furtivamente, rinascondono dentro i vestiti.
Ecco: fingendosi un persiano, fingendosi estraneo alla propria contemporaneità, Montesquieu costruisce una macchina narrativa che corrisponde a una specie di binocolo endotico, una macchina che mette in rilievo tutte le stranezze dei comportamenti suoi (di Montesquieu) e dei suoi contemporanei, mettendolo in una condizione di naturale e felice straniamento, verrebbe da dire.
Spufford, invece, nei ringraziamenti dell’Ultima favola russa scrive: «Prima dei ringraziamenti, una confessione: ho scritto questo libro senza saper parlare né leggere il russo, e ho quindi potuto attingere a una piccola parte dei materiali disponibili».
Con questo materiale a disposizione, Spufford mette in scena protagonisti russi, come Nikita Chruščëv, o il cantautore Aleksandr Galič, o il matematico Leonid Vital’evič Kantorovič, o Leonid Brežnev, e costruisce una macchina che corrisponde a una specie di binocolo esotico; cioè se Montesquieu, tramite i suoi protagonisti persiani, diceva continuamente, ai suoi lettori francesi, «Guardate come siamo strani, e coglioni», sembra che Spufford dica continuamente ai suoi lettori anglosassoni «Guardate come erano strani, e coglioni i sovietici».
Che è una cosa che, un po’, è un peccato, perché l’idea del libro, di raccontare, in forma romanzesca, il modo in cui in Unione Sovietica si dava il prezzo alle cose, è un’idea molto bella, e fertile, e dev’essere stata una storia bellissima, solo che dal libro di Spufford a me non sembra che salti fuori, mentre continuamente salta fuori che erano strani, e coglioni, e ingenui, i sovietici, e che l’Unione Sovietica era un posto triste, e grigio, e ingiusto, e pieno di delinquenti, e di coglioni, e di ingenui, mentre per me, che un po’ ci son stato, l’Unione Sovietica è stato un posto, per esempio, dove una volta, me lo ricorderò finché scampo, a Leningrado, un giorno che pioveva, ho preso un filobus, il filobus numero 10, sulla prospettiva grande dell’isola Vasil’evskij, per andare in biblioteca, e il filobus era pieno di gente dappertutto tranne che in un cerchio di un metro di diametro, perché sul tetto del filobus c’era un buco, e loro, gli addetti all’azienda dei trasporti urbani di Leningrado, o come si chiamava, cosa avevano fatto? Avevano fatto un buco sul pavimento, del filobus, di un metro di diametro, e l’acqua passava, e il filobus andava, “E questa, – avevo pensato, – è l’Unione Sovietica”, altro che Spufford.

[uscito ieri su Libero]