Una specie di finale

venerdì 10 Febbraio 2012

Stamattina, non so perché, forse perché ieri avevo fatto il bibliotecario, mi è venuto da pensare che i libri, certi libri, come quelli che ieri, in sala borsa, erano lì, sul tavolo, di fianco a me, come Il maestro e Margherita, che nelle prime pagine c’è una signora che gestisce un chiosco di bevande sovietico e apre due succhi di albicocca e intorno si spande odore di parrucchiere, e io, da quel momento lì, tutte le volte che sento odore di parrucchiere penso al Maestro e Margherita, e se non avessi letto Il maestro e Margherita, probabilmente non avrei mai riconosciuto, nella mia vita, l’odore di parrucchiere, o come le poesie di Chlebnikov, e le ragazze, quelle che camminano, con stivali di occhi neri, sui fiori del mio cuore, o come le cose di Charms, e prova a restare indifferente, quando finiscono i soldi, o come le opere di Learco Pignagnoli, e tutte le volte che ho pensato che tranne me e te, il mondo è pieno di gente strana, e poi anche te sei un po’ strano, e allora stamattina, mi è venuto da pensare che io, invece che dai vari governi pentapartito o monocolore che si dice si siano alternati alla guida del paese negli anni della mia adolescenza e della mia giovinezza, io, piuttosto che da loro, sono stato governato da Bulgakov, da Chlebnikov, da Charms, da Mandel’štam, da Blok, da Puškin, da Anna Achmatova, da Lev Tolstoj, da Gogol’, da Dostoevskij, da Italo Svevo, da Ernesto Ragazzoni, da Giacomo Noventa, da Venedikt Erofeev, da Learco Pignagnoli e sono stato, a volte, per degli attimi, per dei giorni, per dei mesi, un suddito felice e riconoscente.