Una città

giovedì 25 Novembre 2010

Ci avrò vissuto, in tutto, venti giorni. La prima volta ero a un convegno, vedevo solo convegnisti. Mi aveva fatto questo effetto, che gli abitanti erano tutti convegnisti.
La volta dopo ero a casa di un mio amico. Lui andava a lavorare, io l’aspettavo a casa e non sapevo cosa fare. Mangiavo. Si mangia bene, dicono.
C’era una pizzeria, lì sotto casa, c’era un signore, piccolo, aveva la parrucca, le braghe nere, una camicia bianca e un corpetto rosso. Veniva al tavolo a prender le comande, poi andava dietro al forno, elettrico, metteva su un grembiule e metteva dentro le pizze, surgelate.
Dopo tornava al tavolo, portava le bottiglie, e poi tornava indietro a sfornar le pizze.
E poi veniva al tavolo, le portava, e poi andava dietro il banco a fare i caffè.
Dopo andava alla cassa e ti faceva il conto.
Non si spendeva molto.
Come città, non so, non la capisco. È molto grande. Ci sono dei raccordi. Ci sono dei rioni. Gli autobus, dicono, arrivan sempre quando voglion loro. La metropolitana non è tanta, non si può scavare.
Io non lo so, non è per cattiveria, ma quando penso a lei penso alle fogne.
Forse le hanno inventate, adesso non ricordo.
Hanno inventato in generale molte cose.
Adesso quali non ricordo.
Forse il buon padre di famiglia.
Ci sono molte cose pubbliche, in generale, tipo palazzi, li riconosci perché in quelli non ti fanno entrare.
Ci son dei preti, tanti, dicono, io non ne vedo mai.
I posti che frequento, forse, non ci vanno, anche se adesso, è una città talmente grande che non si dice Andiamo in centro, è tutto centro, ma i posti che frequento sono centro fuori, ci sono pochi preti e ancora meno suore.
Qui parlan tanto, qui gli piace. C’è della gente che non smette di parlare tutto il giorno.
Ci vado spesso, in treno, mi piace il clima, mi piace l’aria, mi piace il cielo, qui c’è una luce che non finisce mai, che è per il lungo.
Mi piace molto, in generale, solo, quando son qui, ho l’impressione di non fare niente. Non ho mai fatto niente, qui, tranne mangiare, parlare, vedere della gente. È tutto così bello, è dolce, come un fico, quand’è proprio maturo, appena prima di diventare marcio.
Così mi sembra a me.
Non son sicuro.
Anche per via del non far niente, adesso, guarda, dovevam fare un film, non l’abbiam fatto; dovevam fare una tournée teatrale, non l’abbiam fatta; dovevam fare una trasmissione radiofonica, non l’abbiamo fatta.
Allora, adesso, forse, non discuto, d’accordo, sarò io, che della gente che lavora c’è, qualcuno fa perfino tre mestieri, cuoco, barista e cameriere.

[Paolo Nori, Sei città, in Flavio De Marco, Vedute, cit., p. X]