Una città
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L’ultima volta che ci son stato è stato poco fa, ne sto venendo via.
Ne sto venendo via su un treno pieno di bambini, un treno di quelli piccoli, che vanno in provincia, che fanno tutte le fermate, che non funzionano coi biglietti normali, con dei biglietti speciali, che hanno la forma di quelli dell’autobus, un treno che potrebbe essere un autobus, pieno di bambini.
In stazione, nel piazzale, su una panchina, c’erano due che sembravan due barboni, due che dormono per strada, due senzatetto, e uno rasava la testa all’altro, con un rasoio, e stava così attento.
Una volta un poeta russo, in una cosa che si intitola Conversazione su Dante, si è chiesto quanti sandali aveva consumato Dante per scrivere la Divina Commedia.
Adesso, sandali se ne consuman poco, si consumano di più i biglietti dell’autobus.
Negli anni cinquanta era un posto che, al mattino e alla sera, quando aprivano e chiudevano le fabbriche, gli autobus erano gratis.
Il suo colore è il rosso, il suo colore è quello, il rosso dei tetti, degli autobus, dei cassonetti, delle cassette delle lettere, dei condimenti, il rosso delle bandiere rosse, il rosso del quadro del funerale di Togliatti, che è qui, dentro un museo che è stato forno del pane, per i poveri, c’è stato un sindaco socialista, qui, agli inizi del secolo scorso, e poi è stato deposito di bare, e adesso museo, con dentro un quadro rosso, i funerali di Toglatti, famoso, uno lo vede per la prima volta e l’ha già visto.
Quando ci sono arrivato io per abitarci, undici anni fa, gli autobus gratis c’erano per andare in fiera, i giorni delle fiere, non tutte le fiere, solo quelle grandi.
La gente qui, dicono, è simpatica, gli abitanti, è un piacere, sentirli parlare, è solo difficile trovarli, è un po’ di tempo che si sono barricati, non si sa a far cosa, a tener dietro a degli affitti, dicono, affittano, qui, se cerchi un affitto, vieni, qui si trova.
La musica non si capisce bene, la musica c’è tutto, la musica va bene tutto, puoi suonare tutto, la musica non dà fastidio, la musica va bene.
La lingua, non lo so, ne parlan tante, quella locale sembra arrotondata, un uso strano della zeta, vocali larghe, le bocche si spalancano per dirle.
Il tempo, il clima, come dicono (in russo la chiaman pagoda), l’estate è molto caldo, l’inverno freddo, umido sempre, molte zanzare, la nebbia non ci arriva, ci sono troppe case intorno, a far da scudo.
Il cibo son famosi in tutto il mondo, inventano dei piatti, i ristoranti, ci scrivon sotto che li fanno loro, il cibo qualcheduno ha messo in giro la leggenda che si mangia bene.
Scherzano molto, gli abitanti, le cose serie le dicono scherzando, si dàn dell’imbecille l’un con l’altro, non si offendono, buoni caratteri, è un piacere, ragionarci, solo, è difficile trovarli, da qualche tempo si sono barricati, non si sa a far cosa, a far dei conti, dicono, veder se scampano, se ce la fanno, chissà a far cosa, a far dei conti, credo, non so bene.
Le torri, son famosi per le torri, m’han detto che ce n’eran molte, adesso un po’ ne son rimaste, alcune sono dritte, altre son storte.
Ma più famosi ancora gli abitanti, che son gentili, e premurosi, e aperti, molto ospitali, solo, è un po’ difficile trovarli, da qualche tempo si sono barricati, non si sa a far cosa, a evitar le multe, dan molte multe, chissà da dove viene la parola multe, chissà se proprio da quel fatto lì, che ancora prima che esistesse la parola, ne davan molte, delle multe, chissà come si chiamavan prima, forse puche, quando ne davan poche, dopo si sono accorti che ne davan molte, gli hanno cambiato il nome, forse è quello.
[Paolo Nori, Sei città, in Flavio De Marco, Vedute, cit., p. II]