Una città
Ci vai da giovane, per prendere lezioni.
Danno lezioni.
Sono simpatici, ti fanno far dei giochi, per insegnarti. C’è sempre un giapponese, o coreano, che fa fatica, poveretto, e tiene indietro tutti.
Ti sudano le mani, non ti piace.
Ti chiedono dei sogni, Cos’è che vuoi sapere?
Ma dài, è un gioco.
Anche se è un gioco, io non dico niente.
C’è un’ungherese bella che le dai fastidio e una spagnola, brutta, che ti segue sempre.
In generale c’è pieno di spagnoli, che dicono Siam tutti dei toreri.
C’è un ristorante che paghi una bistecca, ne puoi mangiare quindici, se riesci. Ci vai una volta alla settimana, e mentre vai fischietti.
Il resto, dei pop corn sparsi lì dentro, sul pavimento del tuo bed and breakfast, facciata bianca, bella, i pachistani che gestiscono ti lasciano un biglietto Clean up your room o giù di lì, non l’hai imparata bene, questa lingua, non ci sei mai entrato, ti sembra tutto troppo colorato, con quei cappelli, lì, ma come fate?
E loro vanno tutti in discoteca, oppure in giro, lì per monumenti, Il cambio della guardia? E cosa me ne frega a me del cambio della guardia?
E giri in tondo, solo, dentro i negozi che vendono dei dischi, ti rendi conto di essere un turista e ti vergogni, provi a ubriacarti, bevi e non ci riesci, bevi di più e non ci riesci uguale, bevi ancora di più e non ci riesci, uguale, e passi la serata a dire It’s a shame, e cerchi un modo per tornare prima ma ti vergogni, di tornare prima, allora trovi quattro libri, in italiano, dentro una libreria tutta di legno scuro, usati, a metà prezzo, roba strana, ti chiudi in camera, di sera, e leggi, leggi e pulisci, pulisci e leggi, e quel che leggi, Il nome della rosa, che tu in Italia non l’avresti letto neanche a pregarti in giapponese, credo.
E dopo, quando torni, che lo vedi, ti viene in mente tutto, e soprattutto che più bevevi e meno ti ubriacavi, un posto molto strano. Molto strano.
[Dal catologo di Flavio De Marco Vedute, cit., p. VIII]