Un po’ per tutte queste cose insieme

giovedì 30 Giugno 2011

“Perché fa caldo, perché le macchine dell’ufficio scrivono, sommano, sottraggono e moltiplicano senza sosta, perché è passato un autobus per tre anni di seguito davanti a quella orribile casa di Avenida Arequipa, per tre anni quattro volte al giorno, il che, senza contare i giorni festivi e le vacanze, fa tremila e seicento volte, perché ha visto per la strada quel vecchio con il naso tumefatto come una melanzana viola e poi quel tizio che in un angolo gli ha puntato il moncherino sulla faccia e gli ha chiesto un sol per comprare qualcosa da mangiare, perché in fin dei conti è il 31 dicembre, e si annoia e ha sete, un po’ per tutte queste cose insieme Ludo lascia perdere l’istanza di pignoramento che sta scrivendo e lancia un sonoro gemito, che deve aver qualcosa di simile a quello che emettono gli impiccati, gli squartati. Un centinaio di teste, per lo più calve, si girano a guardarlo e, poco avvezzi quali sono alle novità, tornano a concentrarsi sui loro scrittoi. Ludo strappa l’istanza e, al suo posto, scrive una lettera di dimissioni. Il capo cerca di dissuaderlo con melliflue argomentazioni ma, verso sera, Ludo si lascia per sempre alle spalle la Grande Impresa, dove ha sudato e sbadigliato per tre anni consecutivi nel fiore della gioventù”.
Comincia così I genietti della domenica, di Julio Ramòn Ribeyro, da poco uscito in italiano per la casa editrice laNuovafrontiera nella traduzione di Nicoletta Santoni.
Il protagonista di questo romanzo, un ragazzo che si chiama Ludo, discendente da un’importante, e decaduta, famiglia peruviana, è uno studente di giurisprudenza fuori corso che non sa niente. Va con le donne perché crede che un uomo debba andare con le donne, beve perché crede che un uomo debba bere, cerca lavoro (dopo aver dato, all’inizio, le dimissioni da quello che aveva), perché crede che si debba pur lavorare, ma di preciso tutte queste cose, e anche tutto il resto, lui non le sa.
I genietti della domenica è ambientato a Lima, e Ludo è di Lima, e vive a Lima, ma non ha capito bene cosa significhi, essere di Lima, e vivere a Lima, e che posto sia, Lima, e questo comporta come conseguenza un fatto stranissimo, cioè il fatto che Ludo gira per Lima non come un limegno, come un austriaco, nello stesso modo in cui a qualcuno di noi può esser successo, magari, molti anni fa, di girare per Amsterdam.
Eravamo lì, persi in un quartiere residenziale, guardavamo la gente che andava, veniva, impermeabili, occhiali, borse di pelle, tutti sembravan sapere benissimo quello che stavan facendo, tutti avevano una famiglia, dietro i portoni, tutti avevano una direzione, un lavoro, e noi eravamo lì, da soli, austriaci, dentro la nostra vacanza poco sensata che doveva ancora durare, era meglio non pensarci, due settimane.
“Il taxi, – scrive Ribeyro, – continuò a circolare lasciando sulla sua scia decine di braccia alzate, urla, fischi. Ludo non poteva fare a meno di guardare le finestre dietro alla quali le famiglie, dopo aver cenato, conversavano e celebravano i loro cerimoniali segreti. C’era stata un’epoca in cui anche a casa sua c’era una famiglia. C’erano un padre, una madre, dei fratelli, un ordine, una gerarchia, la voglia di ridere, di scherzare, un calore, delle voci, una complicità, un perdono, un linguaggio cifrato. La casa al buio, ora. Erbacce. Marciume sul prato, ragni sui cornicioni e cani seppelliti sotto i cipressi”.
Lo sguardo di Ludo, disperato di una disperazione che vien da dire ordinaria, quotidiana, una disperazione che ci sarebbe da sorprendersi se non ci fosse (come sarebbe diverso, svegliarsi, al mattino, se non ci fosse), una disperazione che spinge gli occhi da dietro, questo sguardo è, mi sembra, quello che tiene insieme il romanzo: uno sguardo mosso, mi sembra, dall’urgenza di trovare, nel posto in cui si è nati e si vive da sempre, qualcosa di bello, ci sarà pure qualcosa di bello.
E questo sguardo, mi sembra, è lo strumento principale di Ludo (forse l’unico) per conoscere il mondo, per saziare, se così si può dire, una sete di conoscenza che lui non sa neanche di avere. Probabilmente, queste cose non si possono dire, ma probabilmente, se qualcuno gli chiedesse: “Conosci Lima?”, lui probabilmente risponderebbe “Certo che la conosco”. Invece non la conosce.

[Uscito ieri su Libero]