Un gioco

sabato 22 Dicembre 2018

Da bambina, con mio cugino e il nostro comune migliore amico di allora, giocavamo “agli intellettuali”. Andavamo a chiduerci in una stanza al piano di sopra della grande casa delle vacanze, e lì, seduti su letti trasformati in poltrone immaginarie, accavallando le gambe e aspirando ampie boccate di inesistenti sigarette, cominciavamo a recitare. Imitavamo i toni, i gesti, gli sguardi degli adulti con i quali trascorrevamo il nostro tempo (molto tempo: d’estate eravamo tutti insieme, grandi e bambini, a condurre una vita di “tribù” descritta in certe pagine di mia nonna Natalia). «E allova, l’ideologia politica…», «Nella dialettica mavxista…», «Pevò non cvedeve, nella concezione della militanza opevaia, il tuo avgomento non avvebbe pvesa nella misuva in cui…». Il divertimento era immediato, e irresistibile: veri attori, declamavamo convinti quelle frasi nelle quali stralci di discorsi ascoltati si mescolavano a parole lette (senza minimamente capirne il senso) su libri e fogli di giornale. E ridevamo a crepapelle, felici, travolti dalla nostra ilarità contagiosa. Quel gioco, dissacrante e liberatorio, o preferivo a qualsiasi caccia al tesoro o nascondino.

[Lisa Ginzburg, Pura invenzione, Venezia, Marsilio 2018, pp. 17-18]