Un finale

lunedì 18 Luglio 2011

Cioè mangiare, ho mangiato tre mele, tre Granny smith. Un euro e settanta. Poi sono andato a provare a dormire, in realtà ho cominciato i diari di oggi, sono uscito alle tre, c’era Mariangela Gualtieri, vestita di azzurro, l’avevo vista là in alto, sulla torre, che aveva addosso una palandrana che vista dal basso mi era sembrato Arnoldo Foà nella Freccia nera, che è uno sceneggiato che vedevo da piccolo, da un romanzo di Scott, ambientato in Inghilterra, la guerra delle due rose, avevano quei corpetti di maglia, tipo le cose che si usano adesso per pulire i patti, quelle, non le spugnette, quei fagottini di similferro, eran vestiti così, e Mariangela Gualtieri, vista dal basso, a me era sembrata così, là per aria, invece qui in basso, rasoettera, sembra proprio una donna, e bellissima, con una faccia che è la sua faccia, che la Battaglia, quella bambina di sei anni che ha l’avventura di esser mia figlia, una volta, andavamo in bicicletta, due anni fa, era piccola, avevamo ancora il sellino davanti mi ha detto, d’un tratto, Io non le voglio, da grande, le righe, Che righe? le ho detto io, Le righe nella faccia, mi ha detto lei, e io le ho detto Ah, non c’è problema, ci sono dei medici che ti addormentano, ti tagliano la faccia poi la ricuciono che quando ti svegli non si vede poi niente, e lei ha taciuto un po’ e poi ha detto No, io le voglio, le righe, ecco la Guatlieri, ha una faccia bellissima che a uno quando la vede parlare gli sembra di leggere tutte le volte che ha riso, tutta la fatica che ha fatto, è come una mappa che porta la storia della sua vita, e che cambia col tempo, e a sentirla parlare, dal basso, parla in un modo, non so, quando dice: Ma non vi siete stancati di dipingere l’uomo come una bestia zoppa? Quando dice che anche Caino, poveretto, che ne parlano tutti male, è uno che ha inventato la tecnica, che ha costruito delle città, quando dice, che sopra, là sopra, lei si è ricordata della verticalità, e a me viene in mente che io, anche se non ci penso mai, cammino nel cielo, e che noi, tutti, camminamo nel cielo, e io ho l’impressione, tutti abbiamo avuto un lutto, diceva l’altro giorno Franco Nasi, ecco io ho l’impressione che i miei morti, mio nonno, mia nonna, mio babbo, anche se avevano studiato meno di me, o forse proprio per quello, e anche se vivevano in un’epoca meno sofisticata dei quella in cui vivo io, o forse proprio per quello, io ho l’impressione che loro lo sapevano meglio di me, che camminiamo nel cielo, e grazie al cielo, avevano ciascuno la sua faccia, son morti con la sua faccia, e morire con la sua faccia, per uno, soprattutto per noi che abbiamo studiato, e che viviamo in un’epoca così complicata, è già un obiettivo che io, come dicono a Parma, ci farei la firma.

E chissà come mai, in questi giorni a Santarcangelo, mi son venuti così in mente i miei morti, forse perché a star tanti giorni in mezzo agli spettacoli teatrali ti viene spontaneo chiederti per chi, si fan queste cose, per chi si fa teatro, per chi si scrivono i libri, per chi si compongono le musche, e a me è successo una decina dì anni fa, che io ho avuto chiarissima l’evidenza che io, quello che scrivevo, lo scrivevo per i miei morti, e questo festival, a me ha evocato quel mondo lì che le cose eran le cose anche se…

l’altro giorno, per dire, ero in un paese qui romagnolo, cioè ero a Santarcangelo, ero in una piazza qui della perifieria, cioè era in centro, e su quella piazza c’erano due gelaterie una tutta elegante con quelle insegne cromate con il bancone da design che sembrava un concessionario di motociclette e aveva un nome inglese del tipo Icecreaming, e sulla stessa piazza, dall’altra parte della strada c’era una gelateria anni settanta, con la vetrina degli anni settanta, con il bancore degli anni settanta e un’insegna in dialetto del tipo Al slè ad la to nona.

E l’altra sera, la gelateria concessionario era piena murata, la gelateria anni settanta non c’era nessuno. Allora ieri pomeriggio, quando son passato davanti alla gelateria anni settanta io sono entrato, ho visto che i gelati eran da un euro ottanta oppure da due euro, mi dà un gelato da due euro nello scodellino? ho chiesto alla gelataia? Da due euro e venti va bene? mi ha detto lei? Va bene. Che guesti? mi ha chiesto, e io, non avevo voglia di un gelato, volevo comprare un gelato, e ho guardato la lista dei gusti,, ho scelto i primi due, fiordilatte e yogurt. E dopo ho pagato, la gelataia aveva le unghie istoriate di rosa, poi sono uscito, e, oh, faceva cagare.

Allora, non so come dire, naturalmente i gusti son gusti, magari se ci andate voi vi piace moltissimo, ma, a me, faceva cagare, e mi è venuto da pensare che bisogna stare attenti, con la nostalgia, e però è indubitabile che questo festival anche se, ne parlavamo con Marco ieri sera, l’atmosfera è bellssima, ieri notte, in piazzi, i tavoli, sembrava davvero come dice Fofi, la dolce vita, era una fortuna, essere qui, e era bello, vivere così, però a me, non so, gli spettacoli, io un po’, in questi giorni, forse mi sono anche un po’ sentito, non so, voglio finire con una poesia di Pedretti di un libro di Pedretti che mi ha regalato il mio amico Alex, e la poesia, che è brevissima, si intitola I vitellini, e fa così:

I vitellini che vengono dalla Germania, le orecchie piombate, cercano una mamma purchessia, succhiano le dita del padrone, buttano i testoni tra le sbarre, e mangiano, mangiano.

[Dari di domenica del Festival di Santarcangelo]