Un bunker

venerdì 29 Ottobre 2010

L’altro giorno, a Bologna, periferia nord ovest, oltre il fiume Reno, una parte della via Emilia Ponente che sembra un po’ esplosa, dove all’inizio delle strade ci son dei cartelli con scritto «Dal 369 al 382 bis», «Dal 386 al 391», una parte che per arrivarci bisogna passare sotto un sottopassaggio e sbattere contro l’insegna bianca e rossa di un bar che si chiama Maxy bar, una parte che si vede anche da lontano, sopra a una casa d’angolo ci sono dei fuochi d’artificio, finti, permanenti, lì in fondo, al numero civico 485, dentro un parco, dentro un grande edificio che uno direbbe municipale, che è la sede dei Teatri di vita, l’altro giorno hanno fatto vedere un video, la ripresa filmata di uno spettacolo teatrale di Antonio Tarantino, intitolato Stranieri, per la regia di Marco Martinelli, del teatro delle Albe di Ravenna, interpreti Luigi Dadina (un uomo), Ermanna Montanari (sua moglie) e Alessandro Renda (suo figlio).
Il video è stato fatto da un gruppo di cineasti romani che si chiamano Aqua-Micans Group, e le riprese le han fatta un anno fa, a Lido Adriano, dove lo spettacolo andava in scena e tra gli spettatori c’ero anch’io, ed era uno spettacolo che si svolgeva dentro un bunker, avevano costruito un piccolo bunker, sembrava di cemento armato, a toccarlo, e ci stavano al massimo trenta spettatori, dentro il bunker, e di fronte a loro un piccolo palco, dentro il bunker, con una poltrona rossa con due gambe più basse delle altre due, e, seduto sulla poltrona, Luigi Dadina interpretava il protagonista di Tarantino, «un uomo molto anziano, che si aggira in un alloggio», e si sentiva bussare, da fuori, contro la parete del bunker, e il protagonista diceva «Ma cos’avete da bussare» «Non apro a nessuno» «La porta è blindata» «Io esco» «Perdete tempo» «Me ne vado» «C’è il sole» «Fuori c’è un bel sole» «Era ora» «Va bene che l’acqua» «Ci fa bene alla campagna» «Ma c’è un limite» «Non insistere» «C’è la privacy» «C’ho un telefono» «Farsi annunciare» «La bolletta l’ho pagata» «Inutile insistere» «Mi lavo e mi stiro» «Da solo» «La posta non la ritiro» «Me ne frego» «Tanto a me» «Non mi scrive nessuno» «C’ho un figlio a Roma» «Laureato» «Ho pagato io» «Ha fatto la tesi» «Filosofia» «Martin Heidegg» «Herr» «Una roba difficile» «È anche sposato» «Roba tedesca» «La cultura» «La portinaia» «È andata in pensione» «Il condominio non vuole» «Costa troppo» «Prenderne un’altra» «Con i contributi» «Costa caro» «Le scale le lava l’impresa» «Non insistere» «Chiamo il centotredici» «Non esco» «Non sono in affitto» «L’alloggio è pagato» «Spese condominio» «E tutto quanto» «Ci pensa la banca» «C’ho anche le cedole» «La borsa è andata giù» «Ma poi torna su» «C’ho i fissati bollati» «C’è tempo» «Non sono un morto di fame» «Non vendo» «Non bussate» «Andate fuori dai coglioni» «C’ho il frigo pieno» «Le tapparelle sono bloccate» «C’ho anche il living» «E il frigo bar» «Glen Grant» «Per quando viene su» «Mio figlio» «Io non bevo» «Ho congelato i funghi» «Di quella volta là» «C’era ancora mia moglie» «Non li mangio» «È un ricordo» e via di seguito, e gli spettatori vedevano quest’uomo, seduto di traverso, sopra una poltrona, illuminato da una torcia a pile, che tiene in mano lui, e ha vicino un fucile, e a un certo punto imbraccia il fucile, e minaccia quelli che bussano, che lui pensa siano degli stranieri, brutta gente, «Tutte facce di merda», ma loro bussano ancora, e lui allora fa finta di essere sua moglie, morta, e si veste come sua moglie, «Volpe argentata della steppa» «Astrakan» e cambia voce, «Mio marito» «Non è in casa», e prova a blandirli «Perché non andate » «A fare un giro» «Essere bella giornata» «Noi europei» «Avere ombrelli» «Andare cinema» «Ascensore funzionare» «Musica etnica» «E voi essere quasi come noi», solo che poi si vede che quelli che bussano, non sono stranieri, sono il figlio e la moglie dell’uomo molto anziano, morti, che lo son venuti a prendere («Tutti credono che sia un’orrenda strega vestita di stracci neri, e non sospettano che siano le persone che ti sono state più o meno care a fare l’ultimo trasporto. In fondo, è la tua stessa vita che ti torna indietro, come per un’ultima prova, o per un ripasso della lezione»), e lo spettacolo finisce col figlio, Alessandro Renda, morto, che dice al padre, morto: «Volevo dirti che i pesci dell’acquario li ho trovati morti. I tubi dell’ossigeno e del ricambio dell’acqua erano staccati. E ci sarebbe voluta la sala di rianimazione di un grande e moderno ospedale per farli morire in un modo meno barbaro. Ma no, forse è stato meglio così. Voglio solo dirti che sul fondo della vasca c’erano quattro dita di melma. E questo significa che per molto tempo tu li hai fatti vivere nei loro stessi rifiuti».
Alla fine della proiezione dell’altra sera Marco Martinelli ha detto che, quando dovevano mettere in scena il testo di Tarantino, dopo un mese di prove sul palco han capito che così non andava bene, che per rendere quella situazione c’era bisogno di inventarsi qualcosa, e si sono inventati il buker, che a me sembra funzioni benissimo, e mi sembra che funzioni perché, dopo la prima sorpresa, uno spettacolo teatrale in un bunker, quando ho visto Stranieri a Lido Adriano, un anno fa, io il bunker me lo son dimenticato, il bunker non ce l’avevo più presente nei pensieri, lo sentivo e basta, sentivo la forza claustrofobica della messa in scena ma ero in una specie di antispazio, non c’ero, a dire il vero, ero una bestia costretta in un posto troppo piccolo, come su un ascensore («ascensore funzionare»).
Ecco, per la ricostruzione cinematografica, quelli di Aqua-Micans group hanno dovuto fare la stessa cosa, hanno dovuto inventarsi qualcosa e hanno provato a non filmare mai il bunker, non c’è il bunker, il video, che dura poco più di un’ora, il tempo dello spettacolo, è fatto tutto di primi piani, e di penombre, e di bui, e di riflessi, e di denti, e di piedi, e di peli del naso e, in una scena, solo di due piccole luci negli occhi di Luigi Dadina, e poi il buio, e alla fine io ho pensato “Ecco, quello era il bunker”, e mi ero sentito ancora in una specie di antispazio, mi ero sentito ancora una bestia costretta in uno spazio troppo piccolo e, anche se molte cose che avevo visto a teatro qui non le avevo ritrovate, i movimenti marionettistici di Ermanna Montanari, la deformità dei piedi nudi di Dadina dentro due scarpette da donna, ho avuto l’impressione che mi fosse restituito per intero lo spettacolo che avevo visto un anno prima, e che questo modo di filmare che non saprei definire, sporco, fatto di immagini di sbieco, buio, dal basso in alto, fosse l’equivalente cinematografico della sgrammaticatura, quelli di Aqua-Micans, mi sembra, non solo hanno rispettato il lavoro della Albe, hanno anche reso la sintassi zoppicante, infelice e bellissima del protagonista di Tarantino, e poi dopo a cena, su una via Emilia ricomposta, in una parte che torna a chiamarsi Via Emilio Lepido, al numero 49, quando Marco Martinelli ha citato Edoardo De Filippo che diceva, di Shakespeare, che era il primo della classe, a me è tornata in mente quella battuta, famosa, del Mercante di Venezia, che mi sembra di aver capito qualche anno fa, quando l’ho sentita citata in un film di Lubitsch, To be or not to be: «Se ci pungete, non sanguiniamo, e se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate torto, non ci vendicheremo?».


[Uscito oggi su Gli altri]