Un atteggiamento scientifico

venerdì 11 Settembre 2009

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Volevo fare un esperimento, come gli esperimenti che facevano gli scienziati, con le droghe. Come quello che aveva inventato l’LDS, che poi aveva raccontato che andava in bicicletta che gli sembrava di andar come uno sputnik.
Mi sembrava, qualche mese fa, di avere preso un appunto, su questa cosa degli esperimenti, e sono andato a vedere i miei quaderni di qualche mese fa, che ricordarmi cos’era non mi ricordavo assolutamente.
Volevo farne un esperimento, l’altra settimana; era un momento che, per degli impegni che avevo preso, e che avevo portato fino al limite estremo senza troppo preoccuparmene, o, meglio, preoccupandomene ma senza dare ascolto alle mie preoccupazioni, dovevo scrivere 25 cartelle in due giorni, e allora mi è venuto in mente di fare questo esperimento col Red Bull.
Solo che poi, ho guardato, io adesso se dovessi dire direi che ho fatto due anni, circa, che non sapevo più scrivere. Tutti i miei appunti, tutti i miei quaderni, andare a rileggere, non ci capisco niente, o quasi. Non sapevo più scrivere, non sapevo più tener la penna in mano.
Allora mi sono messo a fare degli esercizi, tutti i giorni. La prima cosa che scrivo, sui quaderni, da dieci giorni a venire in qua, che non so più scrivere. E dopo sto attento. Come una specie di ascolto, che brutta parola.
Ieri in treno leggevo un libro, c’era uno che aveva ottant’anni, reduce della guerra mondiale, e ci sentiva poco, ormai, e diceva che le orecchie, a lui, gli servivano solo per tenere su le sigarette.
È successo che ero a cena, a Bologna, con un gruppo di studenti, e allora gli ho chiesto, loro eran giovani, Ma il red bull? E loro mi han detto che, a berne tre boccette, stavi sveglio tutta la notte studiavi leggevi scrivevi andavi come uno sputnik.
Che c’è della gente che senza il red bull la laurea se la scordavano.
E io mi sono ricordato di quando andavo io, all’università, che pensavo che una cosa bella, da fare, in facoltà, sarebbe stato mettere dei distributori automatici di psicofarmaci. Che invece non c’erano e uno allora doveva lavorare solo sull’adrenalina.
C’è una mia amica, straniera, di Amsterdam, che come mestiere fa quello lì, che ascolta. Che mi ha detto che da loro si chiama: counseling. Che dopo ho scoperto che si chiama così anche da noi.
Quest’estate, ma così, mi sono messo a leggere un filosofo francese che c’è un mio amico che sono anni che me ne parla bene e quest’estate, ma così, mi sono messo a leggerlo.
E ho letto che dopo tutto siamo la sola civiltà in cui delle persone specialmente addette sono retribuite per ascoltare ciascuno confidare il proprio sesso: come se la voglia di parlarne e l’interesse che si spera di trarne fossero andati sì largamente al di là delle possibilità dell’ascolto, che alcuni hanno addirittura messo in affitto le loro orecchie.
Quello che fa la mia amica, ma non per il sesso, il sesso no. No lei ascolta, e poi, mettendo insieme tutti questi ascolti che ha fatto, trova la soluzione perché lei è in una posizione privilegiata, che non è coinvolta, credo, comunque fa quello.
Mi hanno consigliato di prenderne tre. Uno vale come venti caffè, mi hanno detto, e in più dentro c’è la taurina. Se ne prendi tre, fai tutta la notte a leggere scrivere lavorare e poi il giorno dopo vai come uno sputnik.
L’altra settimana ho letto un romanzo dove c’era uno che le usava benissimo, le orecchie. C’era scritto, per esempio: A me questa storia di Lazzaro che prima è morto e poi è risorto non è che mi convince fino in fondo. Chissà cos’era successo. Magari poi vai a vedere bene e scopri che era solo in coma. Figurati le perizie a quei tempi.
Allora sono tornato a casa ho preso tre red bull. Dopo appena arrivato a casa ne ho bevuto uno. E niente. Dopo cinque minuti sono andato a letto. Ho dormito un po’ male.
No, la figura del counselor è affascinante.
Il problema, del counseling, mi sembra, è se ti capita Hitler, come cliente. Hitler è uno che fa saltar per aria tutte le teorie. È utilissimo, Hitler, per smontare le cose.
Dei ragionamenti così superficiali.