Tolstoj
– Senti, maledetti, il chiasso che fanno, – disse Avdeev.
– Ridono di te, perché hai la faccia di traverso, – disse la sottile voce ucraina del quarto soldato.
Tutto tacque di nuovo, solo il vento muoveva le sommità degli alberi, ora mostrando, ora nascondendo le stelle.
– Di’ un po’, Antonyč, – chiese d’un tratto il contento, Adveev, a Panov, – ti viene la malinconia, qualche volta?
– Malinconia perché? – rispose Panov malvolentieri.
– A me, delle volte, mi prende una malinconia, ma una malinconia, che sembra che non so cosa fare di me stesso.
– Guarda un po’ – disse Panov.
– Io una volta mi son bevuto tutti i soldi, e è dipeso tutto dalla malinconia. Mi ha invaso, mi ha invaso tutto. Ho pensato: adesso mi ubriaco bene.
– Delle volte col vino è ancora peggio.
– Anche quella volta. Ma cos’altro puoi fare?
– Ma cosa ti manca?
– A me? Mi manca casa mia.
– Be’, ma sei ricco?
– Non è che sia ricco, ma si viveva come si deve. Vivevano bene. – E Avdeev si mise a raccontare quello che aveva giù raccontato molte volte a Panov.
– Son poi venuto volentieri, al posto di mio fratello, – raccontava Avdeev. – Lui, di suo, ha cinque figli. Io invece, mi avevano appena dato moglie. La mamma ha cominicato a pregarmi. Ho pensato: va bene. Forse se lo ricorderanno, il bene che faccio. Sono andato dal padrone. Il nostro padrone è buono, ha detto: «Bravissimo, vai». Allora son venuto, per mio fratello.
– Be’, hai fatto bene, – disse Panov.
– Però poi, credici o no, Antonyč, adesso, mi viene la malinconia. E più di tutto, mi viene la malinconia per essere venuto al posto di mio fratello. E più ci penso, più è peggio. È peccato, lo so.
[Lev Tolstoj, Chadži-Murat, capitolo II]