Tolstoj e Dostoevskij
Il tassista a un certo punto aveva detto «Ecco, quando arriviamo da queste parti mi sbaglio sempre» e si era fermato a pensare. Poi era ripartito e aveva ricominciato a girare ma un po’ così, a vuoto. Era stranissimo, girare su un taxi ai venti all’ora con un tassista che faceva andare la testa a destra e a sinistra alla ricerca di un punto di riferimento. Mi era venuto da dirgli di provare a chiedere la strada qualcuno, solo che un tassista che chiede la strada a qualcuno non figura benissimo, avevo pensato. «Scusi, – gli avevo detto dopo un po’, – non ce l’ha una cartina?». «Sì, ce l’ho», aveva detto lui, e l’aveva presa e si era messo a guardar la cartina ma era una cartina stranissima, c’eran solo dei nomi e dei numeri. La cosa forse più strana di tutte era che dovevamo andare in via Asiago 10, sede Rai, che i tassisti a uno gli vien da pensare che la conoscon benissimo. Alla fine poi dopo comunque l’abbiamo trovata.
Era domenica, ma non sembrava, non c’era nell’aria quella deformità del mondo tipica della domenica, quando guardi fuori dalla finestra e il panorama che vedi, che solo due giorni prima era in tre dimensioni, adesso è come se gli avessero tolto lo scheletro, non era così, era domenica ma a guardarsi intorno poteva essere benissimo mercoledì.
Appena imboccato il corridoio mi era venuto incontro un signore con un maglione verde e un bastone: «Fofi», avevo pensato. Ci eravamo abbracciati. Era la prima volta che ci vedevamo. Avevamo degli amici in comune. Nell’entrare nello studio, lui era di spalle, mi aveva detto «Credevo che fossi più giovane». «No, – gli avevo detto io, – sono vecchio, e non porto neanche tanto bene i miei anni».
C’era Sergio Givone che diceva che Tolstoj faceva dei romanzi a tesi, però poi succedeva spesso che la forza del romanzo deformava la tesi e alla fine l’interpretazione era ambigua, se ho capito bene.
C’era Marta Albertini, pronipote di Tolstoj, che diceva che tra suo bisnonno Tolstoj e sua bisnonna Tolstaja, lei era imparziale, però preferiva la bisnonna, se ho capito bene.
C’era Igor Sibaldi, traduttore di molte cose di Tolstoj, che diceva che Tolstoj praticamente non scriveva dei romanzi, scriveva dei saggi, se ho capito bene.
C’era Fofi che diceva che Tolstoj, la sua grande forza, era non accettare lo status quo, mettere in discussione tutto, se ho capito bene.
Io quando vado alle cose, come le trasmissioni radiofoniche dove parlano in tanti, intanto che parlano gli altri io, è una mia debolezza, mi ripeto dentro la testa quello che potrei dire io, mi faccio dei gran discorsi le cose che dicono gli altri non le capisco molto bene, probabilmente.
C’ero io che dicevo che Tolstoj, a me, che ne sapevo poco, ricordava il nichilista Bazarov, di Padri e figli di Turgenev, che non riconosceva l’autorità di nessuno e rimetteva in discussione tutto, e Tolstoj era così anche lui: Tolstoj ci aveva detto cos’erano la famiglia, l’adulterio, il denaro, la proprietà, la fustigazione, la pena di morte, i vangeli, Cristo, la storia, il tempo, la schiavitù, Dio, come se tutte queste cose non fossero state mai raccontate, come se tutte le definizioni a lui precedenti fossero tutte da buttar via; con la differenza che Bazarov traeva, dalla coscienza di questa necessità, un senso di superiorità intellettuale che lo rendeva anche abbastanza antipatico, Tolstoj invece, a leggere le cose che aveva scritto dove compariva come personaggio, come i suoi diari, o come alcuni dei suoi saggi, non vantava nessuna superiorità intellettuale, come si vede da questo pezzo di Che fare, che è un libro dove Tolstoj racconta com’è andato il suo tentativo di mettere in piedi un’attività benefica a Mosca, dopo che aveva visto la miseria nella quale viveva una parte consistente della popolazione moscovita:
«Chi sono io, io che voglio aiutare gli uomini? Voglio aiutarli, e mi alzo a mezzogiorno, dopo un’interminabile partita di whist, infiacchito, molle, bisognoso dei servigi e dell’aiuto di centinaia di persone; e vengo ad aiutare – chi poi? Uomini che si alzano alle cinque, che dormono su tavole, che mangiano pane a cavoli, che sanno arare, falciare, immanicare la scure, squadrare, aggiogare, cucire; uomini che per padronanza di sé, per forza, per aabilità, per temperanza, valgono cento volte più di me; e io vengo ad aiutarli! Cosa altro, se non vergogna, posso provare quando entro in rapporto con loro? /…/ Tutta la mia vita passa così: mangio, parlo, ascolto; mangio, scrivo e leggo, cioè ancora parlo e ascolto; mangio, gioco, mangio, di nuovo parlo e ascolto, mangio e di nuovo vado a dormire, e così ogni giorno, e non posso e non so fare altro. E perché possa permettermi tutto questo, occorre che dalla mattina alla sera lavorino per me il portiere, l’inserviente, la cuciniera, il cuoco, il lacché, il cocchiere, la lavandaia; per non parlare degli operai necessari a produrre gli oggetti di cui questi cocchieri, cuochi, lacché, hanno bisogno per lavorare per me: martelli, botti, spazzole, vasellame, mobilia, vetri, cera, lucido da scarpe, petrolio, fieno, legname, carne di bue. Ognuno di loro lavora duramente tutto il giorno e tutti i giorni perché io possa parlare, mangiare, dormire; e proprio io, questo individuo gramo, ho immaginato di poter aiutare gli altri, quegli stessi uomini che mi nutrono» (Che fare, traduzione dal russo di Luisa Capo, Milano, Mazzetta 1979, pp. 96-7).
Una cosa che non ho detto, mi è venuta in mente dopo, è che la mancanza di fiducia nelle autorità io credo la condividiamo anche noi, oggi, quel che non c’è, oggi, è questa pulsione a rifare tutto, a riscrivere il mondo, a rifarne da capo la mappa.
Durava quasi due ore, e finiva poi subito.
Era la puntata di Uomini e profeti di Gabriella Caramore del 7 novembre 2010, centesimo anniversario della morte di Tolstoj.
Alla fine, dopo che era finito, Fofi mi raccontava della volta che Oreste Del Buono aveva proposto la traduzione di Anna Karenina a Rizzoli, per la Bur, e gli aveva raccontato il romanzo. Rizzoli aveva ascoltato poi aveva detto «Bravo, questo Tolstoj, ma, mi dica, è mica il Dostoevskij, per caso?».
[uscito ieri su Gli altri]