Sulle tracce della polizia di Stato a Praga

giovedì 30 Settembre 2010

hasek

Era il tempo in cui l’imperatore Francesco Giuseppe I doveva venire di nuovo a Praga per battere col martello sulla prima pietra di un nuovo ponte. Nella questione ceca infatti il vecchio monarca s’era specializzato esclusivamente in ponti. Arrivava, batteva sulla pietra e notava: «È interessante che questo ponte porti da una parte all’altra», poi diceva ancora «Oh, che ciòia che siete gèchi» e dopo questa visita l’intero popolo ceco aveva sempre l’impressione che quel vecchio signore avesse la paralisi.
Erano i tempi gloriosi in cui la polizia di stato di Praga svolgeva una rilevante attività e arrestò nel ristorante Al Due il vecchio suonatore d’armonica storpio Kučera, che circa trent’anni fa, prima di una visita dell’imperatore, se n’era andato a piedi da Praga a Vienna e qui s’era buttato sotto i cavalli del cocchio imperiale per ottenere un’udienza, perché aveva l’idea fissa che gli spettasse una tabacchiera per via di una pallottola italiana che gli aveva spezzato una gamba a Custoza. Invece della tabacchiera si ebbe cinque giorni di base al «Prügelpatent», poi per circa un mese lo tennero in osservazione in una clinica psichiatrica di Vienna e investigarono se teneva corrispondenza con persone sospette d’oltrefrontiera. Quando accertarono che non sapeva scrivere e che era sano e responsabile, lo condussero alla stazione di deportazione e da qui andò poi sotto scorta per la strada comune fino a Praga, dove in ricordo della sua fallita udienza presso l’imperatore compose questa canzone sulla sua armonica:

A Vienna non mi piace nulla,
è un vero manicomio
è un grosso imbroglio,
oh, povero me, povero me…

E per trent’anni suonò e cantò questa canzoncina al Due e ogni volta che l’imperatore doveva arrivare a Praga la polizia di Stato si portava il suonatore Kučera alla “quattro” in direzione di polizia, sicché la vita di Kučera era una specie di formula matematica e lui aveva l’impressione che l’imperatore Francesco Giuseppe I avesse paura di lui, del vecchio Kučera, e questo lo aiutava sempre a farsi forza nella vita.

[Jaroslav Hašek, Racconti, a cura di Sergio Corduas, Milano, Mondadori 2006, pp. 211-212]