Succhiare che cosa
Forse per tutti c’è un posto dove si compie una cosa che si può forse chiamare educazione sentimentale; forse per tutti c’è una città che, per un fortunoso incrocio di spazio e di tempo, diventa il posto dove uno comincia a respirare coi propri polmoni e, se è così, per me, quel posto è stato Mosca, e il tempo è stato il 1991, quando ci sono andato per la prima volta, a ventotto anni. E il primo odore a cui penso, se penso a un odore, che è una cosa che comprende anche, nella mia testa, quella lieve scossa che ti dà l’aria che ti vien su per il naso e ti solleva da terra, che hai la sensazione che ti tenga in piedi, il primo odore a cui penso è l’odore della Russia, che poi son tanti odori, e i primi due che mi vengono in mente sono l’odore della metropolitana di Mosca, che i primi giorni, quella prima volta, mi sembrava un po’ disgustoso, un misto di vuoto, di aria viziata e di urina, e che adesso, in questo momento, per esempio, sarei contentissimo di risentirlo, e l’altro è l’odore che mi è sembrato di sentire sulla Malaja Bronnaja, che è una piccola strada del centro di Mosca dove comincia il romanzo Il maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, che è un romanzo nella prima pagina del quale si sparge nell’aria «odore di parrucchiera» e io, la prima volta che ci son stato, ho sentito odore di parrucchiera, un’allucinazione olfattiva, probabilmente, o il compimento della mia educazione sentimentale, e mi commuovo ancora oggi a pensarci.
Ma una delle cose più sorprendenti, di quei primi viaggi in Russia, è stato il fatto che, nella mia testa, è cambiata l’idea che avevo dell’Italia, e il fatto io, che fino ad allora ero uno che, se pensava alla patria, pensava a una canzone di Pietro Gori che diceva «Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà ed un pensiero, ed un pensiero ribelle in cor ci sta», ecco io, dopo la Russia, è una cosa che è stata così sorprendente che l’ho anche già scritta almeno una volta, adesso, se penso alla patria, penso a tutta un’altra canzone che, se non fossi andato in Russia, non ci penserei minimamente.
Quando son stato lì, in quel 1991, ho scoperto che i russi conoscevan benissimo la musica italiana, il festival di Sanremo, in Unione Sovietica, è stato per anni l’unico spettacolo occidentale che facevano vedere in diretta, e c’eran delle canzoni, che in Italia io non avrei cantato neanche se mi pagavano, che in Russia ho cantato più volte, ma con piacere, dentro degli appartamenti ancora sovietici, in cucine strettissime, seduti su degli sgabelli intorno a un tavolo con sopra una bottiglia di vodka, un baton di pane nero, due cetrioli e tre pomodori, e una di quelle canzoni, la canzone italiana che ho cantato di più, in Unione Sovietica, è stata Un italiano vero, di Toto Cutugno, e questa canzone, secondo me, ogni tanto salta fuori il dibattito sull’inno nazionale, questa canzone, che noi in Italia un po’ la snobbiamo, sentirla fuori dall’Italia uno si accorge che questa è la vera canzone che dovrebbe diventare l’inno nazionale e a me piacerebbe moltissimo, un giorno, magari non tanto lontano, vedere i giocatori della nazionale che, una mano sul cuore, al centro del campo cantano: «Buongiorno Italia gli spaghetti al dente, e un partigiano come presidente, con l’autoradio sempre nella mano destra e un canarino sopra la finestra».
E per via degli odori, o dei profumi, io mi ricordo una volta, qualche anno più tardi, nel 1994, tornavo dalla Russia in treno, Mosca – Parma, due giorni di treno, quando sono arrivato in Italia, a Trieste, io mi ricordo me ne sono accorto dall’odore; ero nella mia cuccetta e ho sentito, d’un tratto, l’odore dell’Italia, che, dal naso, mi è venuto dentro i polmoni, nella vene, nelle braccia, nelle gambe, e mi ha fatto alzare in piedi e correre al finestrino a annusare l’Italia e dopo ero lì, come un bambino che prende il latte da sua mamma che, con la testa fuori da questo treno Mosca – Parma, attraverso il mio naso succhiavo l’Italia.
[dall’ultimo numero di Flair]