Su una questione contemporanea
Noi si riscaldava con tutto; bruciai scaffali, il telaio d’una scultura e libri, senza numero e senza misura.
Borìs Ejchenbaum si procurò una stufa da trincea, sedeva davanti ad essa, rivedeva le riviste; vi strappava le cose più importanti, il resto lo bruciava. Non poteva bruciare i libri senza averli letti.
Io bruciavo tutto. Se avessi avuto mani e piedi di legno avrei bruciato anche loro in quell’anno.
Le piccole case di legno venivano divorate dalle grandi case di pietra. Comparvero rovine artificiali. Il gelo azzannava le pareti delle case, ghiacciandole sino alle tappezzerie; la gente dormiva vestita. Se ne stavano nelle camere con i cappotti abbottonati.
Tutti avevano lo stesso destino, tutto a periodi fu provato. Ci fu il mese dei cavalli che cadevano, quando ogni giorno in ogni via erano stesi cavalli morenti.
Ci fu il mese della saccarina, quando in tutti i negozi si vendevano solo pacchetti di saccarina. Ci furono i mesi quando si mangiava la buccia delle patate, e d’autunno, durante l’offensiva di Judenič, tutti mangiavano cavoli.
I cavalli morivano. Non dimenticherò lo scricchiolio e l’angoscia dei pattini delle slitte che ti trascinavi dietro. La grande città viveva per il cuore dei suoi abitanti, essa non si spense, come non si può spegnere sotto la pioggia e la neve un mucchio di carbone acceso.
Dagli appartamenti bui, dove le lucerne mandavano una fioca luce, si raccoglievano nei teatri, guardavano lo spettacolo, mettevano in scena nuove opere. Gli scrittori scrivevano, gli scienziati lavoravano.
I giovani critici letterari si riunivano negli appartamenti. Una volta ci toccò salire sulle sedie, perché il pavimento al primo piano era stato inondato dall’acqua di una conduttura che era scoppiata.
[Viktor Šklovskij, C’era una volta, cit., pp. 222-223]