Stranieri
Per quella cosa di cui mi dicevi prima, io credo che l’inumazione sia la soluzione migliore anche perché, se l’ho conosciuto bene, lui non era un nichilista e era contrario a ogni dissoluzione. In fondo, amava la vita. Lui diceva sempre: mangia e lasciati mangiare. E allora io direi di lasciare che le cose abbiano il loro corso, che in parole povere vuol dire: io mangio te e tu mangia me. Che un verme è solo un verme, ma noi di lui ne sappiamo tanto quanto lui ne sa di noi. Per esempio: chi era tuo marito? Chi era tuo padre? Anche un verme avrà avuto un padre, e un verme avrà avuto una moglie, della quale sarà stato più o meno innamorato. Ma poi l’amore passa e rimangono i problemi: i figli da tirare su, che c’è il più forte e il più debole, lo studioso e lo sportivo. E poi l’affitto per un buco qualunque che anche per i vermi non saranno rose e fiori e da qualsiasi parte un padrone di casa c’è sempre. E allora bisogna pagare, mentre la moglie del verme strilla che lui è un incapace, un buono a nulla, e che dovrebbe prendere esempio dal verme che ha il buco accanto al nostro; e poi il cibo, che i nostri vermicelli non hanno mai niente da mangiare.
Per questo io direi che le cose seguano il loro corso. Perché c’è la vita: quella vita che lui ha mangiato e dalla quale s’è lasciato divorare.
[Antonio Tarantino, Stranieri, in La casa di Ramallah e altre conversazioni, Milano, ubulibri 2006, p. 46]