Straniamenti

lunedì 14 Ottobre 2013

L'idiota

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

era salito un giorno sul patibolo e gli era stata letta la condanna a morte: doveva essere fucilato, per un delitto politico. Venti minuti dopo, arrivò la sentenza di grazia, cioè la commutazione della pena. Tuttavia, nei venti minuti, o per lo meno, nel quarto d’ora trascorso tra una lettura e l’altra, egli aveva vissuto con la persuasione di dover essere giustiziato fra pochi minuti. Mi interessava molto ascoltarlo parlare quando si ricordava delle impressioni di quei momenti, e più volte mi feci ripetere la narrazione, rivolgendogli domande su domande. Si ricordava di tutto con una straordinaria chiarezza, e assicurava che non avrebbe mai dimenticato neppure i più minuti particolari di quell’ora. A circa venti passi dal patibolo circondato dai soldati e dal popolo, erano conficcati in terra tre pali, giacché dovevano essere giustiziati in parecchi. I tre primi furono condotti presso i pali, legati, vestiti di abiti mortuari (lunghi camici bianchi); calzarono loro fin sugli occhi dei berretti pure bianchi, perché non vedessero le canne dei fucili; poi, di fronte ad ogni palo, si schierò un drappello di soldati. Il mio conoscente era l’ottavo della fila, quindi gli sarebbe toccato recarsi al palo al terzo turno. Il prete presentò la croce a ciascuno dei condannati. Gli rimanevano, quindi, cinque, non più di cinque minuti di vita. E secondo lui, quei cinque minuti gli sembravano uno spazio di tempo infinito, un immenso tesoro; credeva di dovere vivere, in quei cinque minuti, tante vite, che fece persino delle disposizioni; calcolò il tempo che gli occorreva per dare l’ultimo addio ai suoi compagni e vi assegnò due minuti, altri due minuti li destinò alle proprie meditazioni intime, e un minuto lo destinò per ben guardarsi un’ultima volta intorno. Si ricordava benissimo di avere diviso proprio in quel modo il tempo che gli rimaneva da vivere. Moriva a ventisette anni, nel pieno rigoglio del suo vigore. Accomiatandosi dai compagni, ricordava di avere fatto a uno di questi una domanda che non aveva nulla a che vedere con quel momento e di essersi molto interessato alla risposta. POI, dopo avere salutato i compagni, giunsero i due minuti che aveva destinati alle meditazioni intime; sapeva anticipatamente a che cosa avrebbe pensato: voleva immaginarsi, nel modo più chiaro possibile, quello che doveva succedere: adesso esisteva, viveva, e di lì a tre minuti sarebbe stato un non so che, un qualche cosa, ma che cosa dunque? E dove? Tutto ciò intendeva risolvere in due minuti! Poco lontano di là sorgeva una chiesa, e la cupola, ricoperta di un tetto dorato, scintillava al sole. Si ricordava di avere fissato ostinatamente quel tetto e i raggi che vi risplendevano; non poteva staccare gli occhi da quei raggi, gli sembrava che fossero la sua nuova sostanza, e che, tre minuti dopo, egli si sarebbe in qualche modo amalgamato con essi… L’incertezza e il senso di ripulsione che provava di fronte a quell’ignoto che stava per cominciare, erano terribili; secondo lui, però la cosa più penosa in quel momento era questo continuo pensiero: ‘Se non dovessi morire! SE la vita potesse continuare, che eternità mi si aprirebbe innanzi! E tutto ciò sarebbe allor mio! Trasformerei ogni momento in un secolo, non perderei nulla, ogni istante sarebbe calcolato, non spenderei un attimo inutilmente!’ Diceva che questo pensiero si sera infine trasformato in una rabbia tale, che bravava persino di essere giustiziato al più presto».
Il principe tacque di colpo; tutti aspettavano ch’egli continuasse e traesse una conclusione .

[F. M. Dostoevskij, L’idiota, traduzione dal russo di Rinaldo Küfferle, Milano, Garzanti 1983 (7), pp. 74-75 ]