Stando attenti
Quando penso a un esempio per spiegare la differenza tra la lingua scritta e la lingua parlata, mi vien sempre in mente un libro che è uscito pochi anni fa, per la collana bianca di Einaudi, in cui sono raccolte le poesie di Nino Pedretti, poesie nel dialetto di Santarcangelo di Romagna
È un poeta che mi piace moltissimo, Pedretti, ma che leggo in pubblico raramente proprio per via delle traduzioni, perché la traduzione delle sue poesie, raccolte in questo volume dell’Einaudi che si intitola Al vousi (Le voci), è fatta in un modo che io non lo so. Per esempio ce n’è una che si intitola Orgasmo che è stata scritta credo negli anni settanta e dove l’io narrante, la voce che parla nella poesia, è una donna di settant’anni che si lamenta che quando era giovane lei di queste cose qui, dell’orgasmo, della liberazione sessuale, non ne parlava nessuno, e la poesia inizia con un verso che più o meno fa così: “Ades i cièva tot”, che si potrebbe tradurre “Adesso chiavano tutti”, o “Adesso scopano tutti”, o “Adesso guzzano tutti”, o “Adesso fiondano tutti” eccetera eccetera.
Sembra di vederla, quella signora, un po’ grossa, con le vene varicose, vestita di nero, sulla soglia di casa, con la scopa in mano che, con un tono tra il cattivo, il dispiaciuto e il disgustato dice: “Ades i cièva tot”.
Ecco, quella poesia lì, nell’edizione Einaudi delle poesie di Pedretti, è tradotta così: “Adesso fan tutti sesso”. Che, a parte il fatto che è un’altra cosa, che far sesso e fiondare, cioè fiondare è proprio una pratica precisa, con delle regole, ma lasciamo perdere, a parte quello, l’espressione fare sesso, detta all’inizio degli anni settanta da una signora settantenne che quindi era nata all’inizio del secolo scorso, non lo so, magari mi sbaglio, ma a me mi sembra che una signora così a fare sesso non ci hai mai neanche pensato. “Stasera forse facciamo sesso” è una frase che dentro le teste, in Italia, nel 1970, non la pensava nessuno, figuriamoci le signore di settant’anni di Santarcangelo di Romagna.
Pedretti era amico di Raffaello Baldini, altro grande poeta, erano tutti e due di Santarcangelo, e Baldini raccontava che Pedretti di solito non parlava in dialetto, ma in italiano, in casa parlava italiano, e il dialetto era una lingua che aveva imparato per strada, e i suoi primi versi in dialetto non li pubblicava neanche, anzi uno l’aveva regalato a Baldini.
«Ricordo, – scrive Baldini, – che a un certo momento Nino cominciò a dirci, a dire a me a Lina, mia moglie, due versi in dialetto, due endecasillabi, campati in aria, fuori da ogni contesto, due versi che aveva acchiappato al volo, che gli erano fioriti dentro gratuitamente. Ce li diceva e ce li ripeteva, con autoironia, diventendosi e divertendoci. Il primo di questi versi era: «Mè, s’i m déss da capè, abdrébb a lèt» («Io, se mi dessero da scegliere, andrei a letto»), il secondo era: «Me l’è trent’ann ch’a chégh cumé un arlòzz» («Io sono trent’anni che cago come un orologio»). Dopo un po’, – scrive Baldini, – un giorno chiesi a Nino: «Questo verso, «Me l’è trent’ann ch’a chégh cumé un arlòzz», non me lo regaleresti?». E lui rispose: «Sì, sì, prendilo pure». Io lo presi e buttai giù una prima versione di quello che sarebbe diventato un pezzo intitolato «Cuntantèrs» («Contentarsi»).
Questo pezzo, di Baldini Cuntantèrs, comincia così:
Io sono trent’anni che cago come un orologio, sarà che porto sempre la pancera, e d’estate e d’inverno le mutande lunghe, anche perché la notte devo alzarmi tre o quattro volte per fare un goccio d’acqua. Sul mangiare sto attento e poi non ci tengo. Un brodo, un po’ di vitello e due spinaci, una fetta di stracchino, ma appena un segno, mezza pera un grissino, un bicchier d’acqua, e sono a posto. Il maiale mi fa schifo, sono anni e anni che non ho mangiato un cicciolo, nel prosciutto non ci do, il vino ne bevo due dita nell’acqua perché mi fa venire l’acidità, al pesce, sogliole, triglie, calamaretti, non ci faccio molto, le tagliatelle mi fanno il nodo. – E poi è tutta roba che riscalda troppo, e io, con buon rispetto, se non sto attento, già che soffro di emorroidi, /…/ mi si fa un cerchio alla fronte che mi si annebbia anche la vista. Allora prendo su e faccio delle gran camminate, alla stazione e poi ai Cappuccini, e d’estate, per il fresco, sono capace d’arrivare fin sotto Spinalbeto. E non posso dire neanche che sia per le sigarette, fumare, non fumo più dal novecentoquarantuno, l’unico vizio sono due tre caramelle di rabarbaro al giorno, con quell’amarognolo che mi piace, e poi fanno bene, e ogni tanto bevo una cedrata, ma però che non sia ghiacciata. – No, è come si è fatti, io si vede che ho la testa fatta male. Che sia per quello che non mi sono mai sposato?
E poi continua.
Be’, adesso, due anni fa, alla fine di una riunione della rivista L’accalappiacani, una volta è venuto a trovarci a Reggio Emilia il traduttore di Baldini, Giuseppe Bellosi, che è anche un poeta e è anche uno dei più grandi conoscitori della poesia romagnola contemporanea, e, con il mio amico Daniele Benati, gli abbiamo detto questa cosa di “Adès i ciava tot” che i curatori l’avvano fatto diventare, in traduzione, “Adesso fan tutti sesso” e lui ci ha detto che secondo lui, quella traduzione lì, l’aveva fatta Pedretti, che Pedretti era uno che in italiano non scriveva così dritto come in dialetto, e noi gli abbiam detto che secondo noi era difficile, che fare sesso era un’espressione dell’italiano contemporaneo che negli anni settanta non la usava nessuno, e lui aveva detto che ci andava a vedere e c’era andato a vedere e poi ci aveva scritto e ci aveva detto che avevamo ragione, che non era Pedretti, che aveva tradotto Adesa i ciava tot con Adesso fan tutti sesso, che lui l’aveva tradotto in un altro modo, vale a dire così: “Adesso c’è libertà di coito”.
Adesso c’è libertà di coito. Cosa gli è saltato in mente? Ecco, secondo me, gli è saltato in mente di tradurla nella lingua dei libri stampati, perché l’italiano era la lingua dei libri stampati, mia nonna quando sentiva un discorso in italiano che non capiva bene, perché c’era una sintassi magari complessa o delle parole che non conosceva, di quello lì che aveva fatto il discorso diceva che parlava come un libro stampato; invece l’altra versione, “Adesso fan tutti sesso”, a me i sembra una lingua pastorizzata, sterilizzita, denaturata, deproteinizztzata, se così si può dire, mi ricorda la lingua del quotidiano La Repubblica, che è un quotidiano che quando lo leggevo, tanti anni fa, gli articoli sembravan tutti uguali, sembravan tutti scritti dalla stessa persona molto educata e un po’ deprimente.
Però è una cosa della quale non sono sicuro, son tanti anni che non leggo il quotidiano La Repubblica e per questo, il prossimo fine settimana, 14-15-16 e 17 di giugno, andrò a fare dei giri alla festa del quotidiano La Repubblica che c’è qui a Bologna e proverò a stare attento a come parlano, che se uno si mette a stare attento a come parla la gente non c’è più niente di noioso; le cose, qualsiasi cosa, diventano subito interessantissime, anche la festa Scrivere il futuro del quotidiano La Repubblica che già di per sé sarebbe già interessante, figuriamoci stando attenti a come parla la gente.
[uscito oggi sul Foglio]