La stessa cosa
Nel 1545 il papa Paolo III (Alessandro Farnese) eresse in ducato i territori di Parma e Piacenza, e ne investì il figlio Pier Luigi. L’ottimo duca partì col vento in favore: promosse l’agricoltura, migliorò le comunicazioni, favorì l’artigianato, i commerci, la buona amministrazione e la giustizia, contenne i privilegi nobiliari, incrementò l’istruzione, ingrandì e abbellì la città, si circondò di umanisti e di artisti. Quello che ne guadagnò fu una morte per assassinio, dopo due soli anni di regno, in una congiura ordita da nobili piacentini con l’appoggio di Ferrante Gonzaga e il consenso dell’imperatore Carlo V, allora padrone d’Europa. Il gioco dei potenti, quando si scatenano gli interessi, non riconosce né i meriti personali, né le idee progressiste.
[Gustavo Marchesi, Parma, storia di una capitale, Parma, Battei 1997, pp. 18-19]
/…/ Dossena, dicevo, in uno dei molti volumi della Storia confidenziale della letteratura italiana, fissa una data in cui il Ducato di Piacenza e Parma diventò il ducato di Parma e Piacenza: l’assassinio e defenestrazione di Pierluigi Farnese. I nobilotti piacentini non volevano un padrone impostogli dal papa, per di più questo Pierluigi era un “tòcc ad roba”, uno abituato a prendersi quel che gli faceva comodo senza chiedere permesso a nessuno, il tipo – per dirne una – che un giorno vede un giovane vescovo che gli piace (a quei tempi, se eri di buona famiglia, potevi diventare vescovo a vent’anni) e te l’incula a forza seduta stante. Ora prova a pensare ai nostri Anguissola, Pallavicino, Landi eccetera che si vedono arrivare ‘sto personaggio, da Roma, un forestiero, un prepotente, che oltretutto incula i vescovi: così l’hanno accoppato e buttato già da una finestra del Palazzo Farnese: che era ancora incompiuto e tale è rimasto. Visti gli umori locali, i Farnese decidono di spostarsi a Parma e farne la capitale. E Piacenza diventa, sempre secondo Dossena, “la figlia della serva”.
[Piergiorgio Bellocchio, Frammenti da una conversazione, in Panta Emilia fisica, Milano, Bompiani 2006, p. 26]