Senza imballaggio

sabato 6 Novembre 2010

Ci son degli scrittori, e dei libri, così come anche dei registi, e dei film, che fanno paura, che hanno una faccia, per così dire, e una reputazione, che contribusicono a tener lontani la maggior parte dei lettori, o degli spettatori. Esemplare, in questo senso, mi sembra il caso della Corazzata Potëmkin, il film di Ejsenštejn che, in Italia, molti credono duri tipo sei ore e sia noiosissimo, e invece dura un’ora e sei minuti e dentro c’è un uso del montaggio che non ti lascia proprio il tempo, di annoiarti, se solo fai lo sforzo di prenderti su e di andarlo a vedere.
Un’opera letteraria che, in Italia, ha un destino simile a quello della Corazzata Potëmkin, mi sembra sia l’opera di Tolstoj; per decidersi a leggere Guerra e pace, per dire, uno deve avere proprio un motivo, una spinta uguale e contraria, viene da dire, alla mole del libro, che nel caso di Guerra e pace, come si sa, è una mole considerevole.
Ecco delle volte ci son degli elementi esterni, all’opera e all’autore, il consiglio di un amico, un articolo, una citazione casuale, che contribuiscono a vincere la diffidenza.
Nel caso di Tolstoj, questo motivo potrebbe essere un piccolo saggio del 1917 di Viktor Šklovksij, intitolato L’arte come procedimento.
In quel saggio Šklovksij cita un passo dei diari, di Tolstoj.
«Con lo straccio della polvere in mano, – scrive Tolstoj, – feci il giro della mia camera; ma quando arrivai al sofà non sapevo più se lo avessi già spolverato o no. Poiché nello spolverare i movimenti sono abituali e inconsci, non riuscivo a ricordarmi se li avevo già compiuti e sentivo per di più che non sarei mai riuscito a ricordarmelo. Se ho spolverato e poi ho dimenticato di averlo fatto, cioè se ho agito inconsapevolmente, è proprio come se non fosse successo niente…. Se la vita di molti uomini con tutta la sua complessità, scorre inconsapevolmente, allora è come se non ci fosse stata», scrive Tolstoj.
«Così, – commenta Šklovksij, – la vita passa, si annulla. L’automatizzazione inghiotte tutto: cose, abiti, mobili, la moglie e la paura della guerra. Se la vita di molti uomini, con tutta la sua complessità, scorre inconsapevolmente, allora è come se non ci fosse stata».
Secondo Šklovksij, per resuscitare la nostra percezione della vita, per rendere sensibili le cose, per fare della pietra una pietra, esiste questa cosa che noi chiamiamo arte. Il fine dell’arte è di darci una sensazione della cosa, sensazione che deve essere visione, e non solo riconoscimento. Per ottenere questo risultato l’arte, secondo Šklovksij, si serve di due procedimenti: lo straniamento delle cose, e la complicazione della forma, con la quale si tende a rendere più difficile la percezione e a prolungarne la durata. Sembra una cosa complicata in realtà non lo è.
Per farsi capire Šklovksij fa un altro esempio tratto ancora da Tolstoj, da un articolo intitolato Una vergogna!.
In questo articolo Tolstoj a un certo punto si chiede: «perché denudare, gettare a terra e colpire sulla schiena con le verghe chi ha infranto la legge, perché scudisciare ancora sulle natiche denudate? Perché ricorrere a questo metodo stupido e barbaro piuttosto che a un altro, per causare dolore a un uomo? Per esempio, perché non gli si conficcano degli aghi nelle spalle o in un’altra parte del corpo, perché non gli si serrano in ceppi le mani o i piedi, o non si inventa qualche altro sistema analogo?».
Ecco. Qui, Tolstoj descrive una cosa molto comune in Russia, alla sua epoca. Denudare degli uomini, gettarli a terra, e colpirli sulla schiena con le verghe, e poi scudisciarli sulle natiche nude, corrispondeva alla pratica della fustigazione.
Se Tolstoj avesse scritto «Perché ricorrere alla fustigazione?», tutti i contemporanei avrebbero capito di cosa si trattava.
Ognuno avrebbe richiamato il proprio concetto di fustigazione, avrebbe magari ricordato le discussioni sulla liceità di fustigare i colpevoli, avrebbe ricordato la propria opinione in proposito e avrebbe pensato: «Ecco vedi, Tolstoj, rispetto alla fustigazione, la pensa così».
Impedendo l’immediato riconoscimento dell’oggetto della sua prosa, allungando la visione, buttando lì degli uomini denudati, gettati a terra, colpiti sulla schiena con le verghe e poi colpiti sulle natiche nude, Tolstoj resuscita, nei suoi lettori, la fustigazione, gliela rende sensibile, gliela toglie dall’imballaggio, ne impedisce un lettura autormatica e costringe a guardarla come se fosse nuova: il lettore non ha tempo di pensare alle proprie convinizioni, ai dibattiti che ha sentito, ha gli occhi pieni di questi uomini denudati, gettati a terra e colpiti sulla schiena con delle verghe e colpiti ancora sulle natiche nude.
Ecco, in Guerra e pace, per dire, Tolstoj fa la stessa cosa con la Storia. Tolstoj prende la Storia, le toglie tutte le incrostazioni scolastiche e retoriche, e la racconta come se la vedesse per la prima volta, e così facendo la resuscita agli occhi dei suoi lettori, gliela fa vedere come se fosse nuova, e il lettore non ha tempo di pensare ad altro che a quello che legge.

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