Scarti

martedì 11 Novembre 2008

Qualche anno fa, la rivista Maltese narrazioni aveva una rubrica che credo si chiamasse Out takes, dove si pubblicavano dei pezzi di romanzi che alla fine non erano entrati nei romanzi. Succede spesso che quando finisci un romanzo hai tre o quattro pezzi che magari sono anche belli, e che però, alla fine, per una serie di motivi che possono essere diversissimi tra loro a seconda dei casi, vengono tolti. La traduzione italiana potrebbe essere Scarti, se non fosse che Scarti ha una connotazione negativa, invece delle volte le cose che togli magari son belle, come questo pezzo di Paolo Colagrande che in origine era una parte di Kammerspiel:

E mio padre? Fio se ci penso mi sputerei addosso, ho venduto la sua casa con dentro la sua tomba, compresa nel rogito: l’abbiam lasciata là nel giardino, la tomba, neanche per cagate le meste spoglie paterne. E prima di vendere, io e mia mamma a riflettere su cosa fare delle meste spoglie paterne; Sandro, mi dice Giulia Beccaria, siamo pratici, è più il regò di trovar un operaio che ti fa l’estumulazione al giorno d’oggi, che lasciarlo lì dov’è, il sepolcro, senza contare che al catasto l’immobile è registrato insieme col sepolcro e le meste spoglie, bisognerebbe star lì chiamare un geometra fare il frazionamento, sai i maroni; e poi chi paga?, che gira e rigira è sempre lì che casca l’asino, casomai gli diciamo ai compratori di metterci due o tre fiori. E poi mi giustificavo che avevo avuto un’infanzia difficile, il Conte Pietro Manzoni non era mica mio padre vero, io ero un cosiddetto fuorivìa di mia mamma, e mia mamma stessa poi mi aveva trascurato, inutile girarci intorno, che detto confidenzialmente a livello di prender dei sifoli non scherzava mica neanche lei, mia mamma Giulia, tra Giovanni Verri e Carlo Imbonati e poi e poi; che io Carlo Imbonati anche se giuro che non l’ho mai visto in faccia, tra parentesi mi stava sulle balle Carlo Imbonati, tranne quando è morto che allora lì cambia il disco, ci ha lasciato tanta di quella pila a me e a mia mamma, che allora io ho scritto in morte di Carlo Imbonati, dove Carlo mi appare in sogno e mi dice di conservar la mano pura e la mente, né proferir mai verbo che plauda il vizio o la virtù derida. Ciusca, sarò ben un bastardo.

Ecco. Resta da dire che uno dei paragrafi di Kammerspiel si intitola Manzoni: un pezzo di merda. E poi dentro al paragrafo di Manzoni non si parla affatto. Han tolto il pezzo su Manzoni, ma si son scordati cambiare il titolo. Che è una cosa che Paolo Colagrande, quando gliel’ho detta, lui mi ha detto che è vero, si eran scordati, però secondo lui forse alla fine così è anche più bello.