Qualcosa di vivo
La strada per casa passava per un campo di terra nera, maggese, appena arata. Camminavo in salita, tra la polvere della terra nera. Il campo arato era di un solo proprietario, molto grande, tanto che dai due lati della strada e di fronte, nell’altura, non si vedeva altro che il nero maggese uniformemente arato e non ancora erpicato. L’aratura era buona, e non si vedeva, in tutto il campo, una pianta, non un filo d’erba, tutto era nero. “Che essere rovinoso e crudele l’uomo; quanti diversi organismi viventi, quante piante ha distrutto per il mantenimento della propria vita,” pensai cercando qualcosa di vivo in mezzo a questo nero, morto campo. Di fronte a me, a destra della strada, si scorgeva un cespuglio. Quando fui più vicino, riconobbi nel cespuglio quei ‘tartari’ un fiore dei quali avevo strappato per niente e buttato.
“Che energia!” pensai. “L’uomo l’ha avuta vinta su tutto, ha distrutto milioni di piante, e questo ancora non si arrende.”
E mi tornò in mente un’antica storia caucasica, che in parte ho vissuto, in parte ho sentito raccontare da testimoni oculari e in parte mi sono immaginato. Una storia così come si è formata nel mio ricordo e nella mia immaginazione, eccola qui.
[Alla Scuola media inferiore di Anna Karenina a Bologna (clic) e Milano (clic) leggiamo anche Chadži-Murat]